L’equilibrio del lavoro
Fratelli, sorelle,
una Regola monastica è uno strumento, non una legge. Le sue indicazioni devono sempre misurarsi con la realtà della vita, con i concreti membri della comunità, per cui essa non solo non basta, ma richiede l’aiuto dello Spirito che porta a valutare le diverse situazioni che l’esistenza concreta presenta e a discernere caso per caso le decisioni da prendere o le indicazioni da dare al singolo come alla comunità. La vita presenta ogni giorno situazioni e casi che una Regola non può minimamente prevedere. Perseguire l’equilibrio tra esigenze del singolo e bene comune, tra lavoro e riposo, tra silenzio e parola, e così via, è pertanto un compito quotidiano e in cui va posta in essere la responsabilità di ciascuno, non certo solo di chi ha un ruolo di autorità. Questo equilibrio esige flessibilità, significa regole, ma anche possibilità di derogarvi, perché, appunto la vita è complessa, articolata e imprevedibile
A questo discernimento la nostra stessa Regola invita e rinvia quando parla, per esempio, del lavoro. Essa afferma che il lavoro è un modo di vivere la povertà. In che senso? Povertà in rapporto al tempo perché ci si sottomette ad orari e non si lavora come a uno pare e piace (RBo 24), povertà in quanto si tratta di obbedire: obbedire al comando apostolico (“Se qualcuno non vuol lavorare non mangi. Noi lo invitiamo e lo impegniamo nel Signore Gesù a lavorare in pace e a mangiare il pane che lui stesso avrà guadagnato” (2Ts 3,10 citato in RBo 24); ma poi si tratta di obbedire ai lavori che la comunità può offrire, che non sono certo infiniti, e in questo comunque la nostra Comunità ha una eccezionale varietà e pluralità di lavori rispetto ad altri monasteri. Povertà perché si tratta di guadagnarsi da vivere con le proprie mani altrimenti si finisce per vivere una vita di mollezze e comodità, mantenuti da chi fa doni ed elargizioni magari spiritualizzate e sublimate ipocritamente come provvidenza. La serietà della vita di lavoro è anche spesso il linguaggio capace di comunicare con le persone più semplici e di creare una simpatia e una base di comprensione con tante persone, soprattutto quelle del luogo, comprensione che si situa sul piano prettamente umano. Questa serietà sul lavoro è fondamentale per evitare la decadenza di una vita monastica.
E la Regola mette in guardia da due rischi che si verificano nel modo con cui uno si relaziona con il lavoro. Anzitutto, il dilettantismo: “Bada di prendere sul serio la tua vita di lavoro. La tentazione sarebbe di lavorare quando ti piace e come ti piace: ma così resteresti un dilettante” (RBo 24). Quindi, il privilegio: “Se … il lavoro non fa corpo con la preghiera, allora quella che dovrebbe essere una vita di ricerca di Dio nelle difficoltà liberatrici, diventerebbe una vita di privilegiati” (RBo 25). Ma è evidente che la fuga dalla serietà del lavoro compromette anzitutto la qualità umana della persona.
Al tempo stesso la Regola stessa ricorda il dovere di vegliare sul lavoro di ciascuno affinché da un lato il lavoro sia compatibile con la vita comune, dall’altro non schiacci la personalità del singolo (RBo 25). Questo significa che le indicazioni generali e fondanti devono poi trovare applicazioni alle singole persone, ai momenti che vivono, alle forze e alle debolezze che li abitano, alla loro salute e alla loro età, e così via. Certo, senza far diventare questi elementi delle scuse dietro cui nascondersi per sottrarsi alla fatica del lavoro e della vita comune, che in verità è anzitutto fatica del vivere. Ma certo, senza neppure assolutizzare il lavoro con logiche aziendalistiche più che monastiche. Se in comunità vi è chi ha una concezione impiegatizia del lavoro, che mostra non assunzione dello stesso, a volte vi è chi non riesce a stare un momento senza fare qualcosa e non riesce neppure ad abitare la cella e così, lavorando troppo, si difende dalla solitudine e dal silenzio della vita in cella. E la tradizione monastica ci mette in guardia dalle pretese di chi vuole lavorare meno o niente per pregare di più. Insomma, perseguire con buon senso l’equilibrio e la flessibilità è essenziale per custodire una certa armonia nella quotidiana vita comunitaria. Questo potrebbe anche liberarci da posizioni intransigenti e massimaliste da una parte e minimaliste e lassiste dall’altra.
Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede, perseguendo buon senso ed equilibrio nel lavoro come in ogni settore del nostro vivere. E tu, Signore, abbi tanta pietà di noi.
fratel Luciano