La promessa delle persecuzioni
Fratelli, sorelle,
nel Prologo, proprio nel primo paragrafo della Regola, si trova questa affermazione:
“Non temere la sofferenza della vita quotidiana e le persecuzioni” (RBo 1).
Potrebbe stupire un riferimento alle persecuzioni e proprio nelle primissime battute della Regola monastica. Eppure le persecuzioni, stando al vangelo, sono un elemento costitutivo della sequela cristiana. Gesù, a coloro che scelgono di seguirlo in modo radicale, lasciando famiglia e lavoro, promette una ricompensa che non solo non esclude ma include anche le persecuzioni. Dice Marco 10,29-30: “Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà”. Il testo precisa: insieme a persecuzioni. Il termine usato non indica tanto le contraddizioni, le fatiche, le tribolazioni, le asperità che la vita arriva inevitabilmente a presentare. Non ci si riferisce qui a lutti o malattie, a incidenti o disastri o eventi dolorosi e inattesi che incombono sempre e fanno parte dell’imponderabile dell’esistenza. No, qui ci si riferisce a un male perseguito e provocato volontariamente e consapevolmente da altri. Il termine indica una caccia, un inseguimento, una determinazione a fare il male, a provocare danni a qualcuno, singolo o gruppo umano, individuo o comunità. Nella persecuzione una persona o un gruppo diventano un mero bersaglio. Si tratta, nella persecuzione, di seguire e perseguire con pertinacia l’obiettivo di fare il male a un altro. Le modalità sono diverse: denigrare, delegittimare, calunniare, sparlare, aggredire verbalmente e non solo, diffamare, sparlare. E potremmo continuare. La persecuzione può portare alla morte, può arrivare a uccidere.
Ma ciò che colpisce è che proprio tutto questo si trova nella promessa che Gesù fa a chi lo vuole seguire con radicalità. Nella promessa: il che significa che se nel concreto dell’esistenza questo avviene, ovvero che ci si trovi a essere bersaglio di insulti e offese, violenza e inimicizia, la nostra sorpresa, il nostro stupore, il nostro giudicare inaccettabili e irricevibili questi comportamenti, indicano la nostra superficialità nel vivere la sequela cristiana. In fondo tendiamo a escludere che questo sia possibile e lo fuggiamo. Non lo riteniamo possibile. E dev’essere chiaro che sempre le persecuzioni possono essere interne allo stesso spazio comunitario o provenire dall’esterno o contemporaneamente da entrambi i fronti. Il vangelo lo ripete e ci mette in guardia. Non esistono spazi esenti da questa possibilità di inimicizia e persecuzione. Ciò che caratterizza questo atteggiamento è la volontà di fare del male e provocare perdite e danni a chi si è preso di mira. In ogni modo. Costi quel che costi.
È qui che si inserisce il “non temere” le persecuzioni. Che ci scandalizzino è comprensibile, ma non possono vincerci incutendoci paura. Quella sarebbe la vittoria del persecutore. Dice ancora Gesù in un testo che invita al coraggio e alla parresía: “Non temete quelli che uccidono il corpo ma non possono togliervi la vita” (Mt 10,28). Ma allora, ancora una volta, è il nostro sguardo che è chiamato a cambiare, è il nostro cuore che è chiamato a conversione, e proprio le persecuzioni diventano un grande fattore di conversione. Certo, almeno potenzialmente. E il cambiamento, la conversione avviene anche quando decidiamo di cambiare il racconto di ciò che viviamo. La vita e i fatti della vita ci inabitano e ci muovono a misura del ricordo che ne abbiamo e della narrazione che ne facciamo. Noi siamo vittime normalmente più ancora che dei fatti, che pure esistono e hanno un peso certo, del racconto che ce ne facciamo e che continuiamo a ripeterci. Come spesso sono i dolori improvvisi della vita, i lutti, gli abbandoni, le fini, i fallimenti, che ci toccano nel profondo, che ci scuotono, che ci fanno male, che ci scorticano l’anima, ma che ci possono anche convincere della imprescindibilità di cambiare il nostro modo di stare al mondo, di amare, di ascoltare, di relazionarci, così ancor di più le scandalose persecuzioni, il fatto che altri vogliano il nostro male e lo perseguano, anche questo va assunto positivamente come occasione di conversione. Altrimenti sì, periremo tutti allo stesso modo, come dice Gesù (cf. Lc 13,3.5), ovvero nell’illusione di essere nel giusto mentre facciamo l’ingiustizia, di essere buoni mentre siamo cattivi, di fare il bene mentre facciamo il male. La persecuzione non è motivo di fuga, ma occasione di conversione.
Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede e perseveranti nella sequela senza temere le persecuzioni. E tu, Signore, abbi tanta pietà di noi.
fratel Luciano