Notizie storiche sulla Pieve di Cellole
Le prime testimonianze su questa pieve, che ci riportano ai tempi della chiesa indivisa alla fine del primo millennio, risalgono a due carte datate 949 e 1011


Le prime testimonianze su questa pieve, che ci riportano ai tempi della chiesa indivisa alla fine del primo millennio, risalgono a due carte datate 949 e 1011: a quel tempo risulta che la chiesa fosse dedicata a san Giovanni Battista e la sua ubicazione era di circa 500 metri a valle in direzione ovest rispetto alla collocazione attuale.
Dal 1034 in poi la chiesa di Cellole appare dedicata a santa Maria Assunta, e a partire dalla fine del XII secolo si hanno contemporaneamente notizie sui lavori alla chiesa, sui suoi rettori e i suoi annessi.
Della pieve si ha notizia storica dal 1190, con l'inizio della costruzione della chiesa da parte dall'allora pievano Ildebrando, come si legge in un'iscrizione sulla chiave di volta dell'arco vicino al campanile della pieve: REMOTA FUIT H. PLEBS A. MCXC IN I[S]TA FACTA TEMPORE ILD. PLE.
Due altre iscrizioni confermano l'origine della pieve all'inizio del XIII secolo. Una, ancora oggi leggibile su una delle colonne centrali, testimonia la prima conclusione dei lavori: F.A.D.M.C.C.XXX.III VIII. ID IUNII ("Fatto nell'ottavo giorno dopo le idi di giugno del 1233"), mentre un'altra, visibile sulla facciata, a sinistra del portone d'ingresso, riporta la data ufficiale del termine dei lavori, protrattisi per quasi cinquant'anni: A.D. MCCXXXVIII CONSUMATIO PLEBIS ("1238, compimento della pieve").
Successori di Ildebrando nel XIII secolo furono Aloigi (per un breve periodo), Valenzo, Martino e Dando. Al tempo di Valenzo, intorno al 1254-1260, venne fusa la campana maggiore della chiesa, recante l'iscrizione che ricorda i nomi del campanaro e del pievano; questa è ancora presente insieme a una seconda, del '400.
Stabilmente inserito nel distretto sangimignanese, il piviere di Cellole contava intorno al 1300 ben venti chiese o cappelle suffraganee. La pieve manteneva la funzione battesimale e forniva il crisma e l'olio santo ai preti delle cappelle per gli usi sacramentali. Il pievano veniva eletto dal clero della pieve e delle chiese del territorio, cui il popolo dava il consenso; il vescovo confermava l'elezione e istituiva canonicamente l'eletto.
Dell'esistenza della pieve si ha notizia in una decina di pergamene conservate nell'Archivio di stato di Siena, datate fra il 17 giugno 1232 e il 2 agosto 1254, interessanti testimonianze riguardo a vari episodi relativi alla "casa dei lebbrosi (mansio leprosorum) situata presso la detta pieve", gestita da una comunità di fratelli e di sorelle e presieduta da un rettore, anch'essi lebbrosi.
Particolarmente preziose risultano due carte, contenenti decreti normanti la vita della comunità.
La prima, datata 15 dicembre 1240 (nr. 65), contiene un decreto del pievano Ildebrando che, nella sua funzione di direzione del lebbrosario, prescrive agli uomini e alle donne – al rettore Bonavoglia, ai fratelli conversi Michele di Giunta e Perino, e alle sorelle converse Diamante, Cossetta, Galliana e
Richelda – l'obbedienza ai superiori, per evitare ogni scandalo e per mantenersi nella concordia, raccomada loro di evitare ogni parola ingiuriosa e ordina di consegnare al rettore tutte le loro proprietà e tutto ciò che avessero raccolto di offerte, mettendolo in comune con gli altri fratelli e sorelle.La seconda, datata 5 luglio 1250 (nr. 174), contiene una Regola imposta da Ildebrandino, pievano di Cellole, al rettore e ai fratelli della casa dei lebbrosi situata presso la detta pieve, per l'amministrazione e la vita interna del lebbrosario. In essa si raccomanda che i fratelli e le sorelle "vivano in perfetta fratellanza, carità e pazienza", non permettano alcuna alienazione, osservino i digiuni, preghino nelle ore determinate, mangino in comune, onestamente dormano gli uomini e le donne senza sospetto e offesa; che il rettore provveda affinché essi vivano fraternamente (fraternaliter), e in particolare provveda ai più aggravati; che non si mescolino ai sani né lavino la loro roba alla fonte dei sani, portino la tonsura, si confessino una volta al mese, tengano un nunzio sano per ricevere le elemosine, e che Matteo [il rettore], Bonavoglia, Ugolino e Bonafemmina obbediscano a tali comandi sotto pena di scomunica.
Inoltre, su una veduta del complesso pievano di Cellole fatta da Ettore Romagnoli e conservata nella Biblioteca degli Intronati a Siena, c'è una nota a mano che dice: "Nel 1375 era ospizio di frati".

Abbandonata la casa paterna, il giovane Bartolo entrò nel convento benedettino di San Vito a Pisa, ove si legò di filiale devozione a un santo vecchio monaco, di nome Paolo ; questi lo presentò all'abate del suo monastero, che accolse il giovane e gli affidò la cura degli infermi. Benvoluto dai monaci, Bartolo si disponeva a prendere l'abito benedettino, quando, in seguito a un'apparizione, decise di entrare invece nel terz'ordine francescano a Volterra.
In seguito ordinato presbitero, Bartolo all'età di circa cinquant'anni si ammalò di lebbra.
Deciso nel servire Dio attraverso il conforto dei lebbrosi, soffrendo con loro e come loro, Bartolo va a vivere, insieme al discepolo san Vivaldo, nel luogo che accoglie i suoi compagni di disgrazia respinti dalla società, il lebbrosario di Cellole, e lì trascorre gli ultimi vent'anni della sua vita, assumendo dal 1293 la carica di rettore della pieve.Isolato, ma presto conosciutissimo, da tutti viene subito chiamato "il Giobbe della Toscana" per il suo modo straordinario di vivere la sofferenza legata alla sua malattia. Le spoglie di Bartolo sono conservate nella chiesa di Sant'Agostino in una cappella monumentale fatta erigere dal comune di San Gimignano e compiuta fra il 1488 e il 1494 da Giuliano e Benedetto da Maiano, autore quest'ultimo dei ricchi bassorilievi raffiguranti alcuni episodi salienti dell'agiografia del santo.
Il culto di Bartolo, sempre vivo in San Gimignano e riconosciuto nel 1523, fu confermato da Pio X nel 1906.Dell'esistenza di un edificio pievano adibito a ospizio per lebbrosi e pellegrini si hanno dunque notizie antiche. Se però l'evidenza dell'impianto basilicale della chiesa e i suoi elementi tipologici chiaramente riferibili a uno stile romanico d'impronta pisana/volterrana non lasciano dubbi sulla sua origine, per gli altri edifici pievani tale antichità non è così evidente né attestata dalle fonti storiche. Si deve infatti supporre che fra la fine del 1700 e la fine del 1800 la pieve e gli edifici ad essa collegati siano stati profondamente trasformati.
La chiesa stessa sembra avere subito rilevanti trasformazioni: l'abbattimento del campanile, portato al centro dell'attuale canonica (1879), e l'esaltazione dei "primitivi" caratteri romanici attraverso la distruzione degli altari barocchi che nel XVIII secolo si erano sovrapposti a quelli romanici originali e al completo rifacimento del tetto (1920).
Gli ultimi interventi di restauro e di consolidamento della chiesa sono stati effettuati negli anni 1980, quando si è provveduto anche alla ripavimentazione.