Custodire la parola come un figlio
12 ottobre 2024
Dal Vangelo secondo Luca - Lc 11,27-28 (Lezionario di Bose)
In quel tempo27una donna dalla folla alzò la voce e disse a Gesù: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». 28Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».
Nei versetti che precedono il testo di oggi (Lc 11.14-26) Gesù ridà la parola a un muto, scacciando il “demonio” responsabile di quella menomazione. Le folle sono meravigliate ma le reazioni sono differenti perché alcuni lo accusano di essere il capo dei demoni, altri non si accontentano e lo “tentano” chiedendo altri segni o prodigi. Sembra però che queste obiezioni non siano espresse apertamente, perché la risposta di Gesù a costoro è introdotta dall’espressione: “Gesù conoscendo le loro intenzioni” (Lc 11.17). L’azione di Gesù che libera dal male provoca fra gli ascoltatori dubbi, interrogativi e mormorazioni sottovoce. È come se costoro fossero rimasti muti, bloccati nella loro facoltà di parlare e di dire una parola…
Ma non per tutti è così. Una donna fra la folla ha il coraggio di “alzare la voce”: esce allo scoperto, vincendo la paura di un giudizio di coloro che le sono attorno, va contro corrente. Questa donna ha visto l’opera di Gesù, ha ascoltato le sue parole e quasi non può tacere.
Grida che quell’uomo, con i suoi gesti - ridare la parola ai muti era un segno del Messia - e con le sue parole deve essere per forza in comunione con il Signore, con il Dio creatore della vita. C’è una beatitudine che si realizza lì, in quel momento preciso. E se è rivolta a colei che ha generato Gesù, riguarda Gesù stesso. Lui è un segno della pienezza di vita che prende dimora fra gli uomini. È il “dito di Dio” che vince il male e ristabilisce l’umanità nella sua dignità, restituendo la parola.
Il grido della donna contrasta con il mormorio degli altri così dubbiosi. È spontaneo, chiaro, si colora di gioia e di felicità, che non possono essere rinchiuse fra le labbra. Ricorda il grido dei profeti (cf. Is 21, Lam 2.19) e richiama l’urgenza di cogliere l’attimo di un evento che accade.
Il grido della donna ricorda l’umanità di Gesù, con il rimando a sua madre, da cui è nato e da cui è stato nutrito; è constatazione che la beatitudine del regno ora è divenuta carne nell’uomo che ella vede e ascolta, che è attorniato dalla folla, che si può toccare, con cui si può dialogare. La meraviglia di fronte a Gesù è generata proprio dalla sua umanità corrente e semplice che sa farsi vicina all’umanità ferita dal male.
Il grido della donna esprime anche il suo desiderio di poter partecipare a quella beatitudine. Vorrebbe essere lei la madre di cui parla. Un’invidia velata, ma che nasce da un desiderio profondo di pienezza di vita.
E le parole di Gesù colgono questa domanda, e la accolgono, indicando la via per costruire una relazione profonda, vitale, beata con lui stesso. Ascoltare la sua parola, osservarla… - dove il verbo “osservare” ha la sfumatura di custodire, proteggere, tenere come in “prigione in sé”, quella parola.
Per quella donna è un’indicazione che può ben cogliere. La parola quasi come un figlio da custodire dentro di sé e nutrire, far crescere e poi generare, far uscire alla vita come un figlio che di fronte a lei, al suo stesso sguardo, diviene segno della beatitudine del regno. Un figlio che non sarà più solo per lei, ma destinato all’umanità. Un figlio che fra le sue braccia è specchio della beatitudine, ma che è pronta a lasciare “per la salvezza” del mondo.
Non siamo noi come questa donna?
fratel Marco