Chi è così folle come questo pastore?

Giovanni Frangi
Giovanni Frangi

19 agosto 2025

Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 18,12-14 (Lezionario di Bose)

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:"12Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? 13In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. 14Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda.


Tante pecore, una meno di cento, un piccolo patrimonio al tempo di Gesù. Lasciarle sole, per un tempo indefinito, con il rischio del furto o dell’attacco da parte di animali selvatici certamente è un’azione che dal punto del comune sentire sarebbe da ritenersi sconsiderata, come sarebbe da ritenere senza senno colui che la compie: un pastore privo di cognizione del patrimonio che ha in custodia.

Per noi certo non è facile immaginare il contesto, pochi hanno visto un gregge dal vivo e ancora di meno hanno trascorso almeno una giornata accanto a un pastore e al suo gregge.

La cura del pastore è tale per cui ogni pecora è allo stesso tempo l’unica e tutte. Così, se è malata, se fatica a camminare, tale difficoltà non è solo un problema suo ma diviene dell’intero gregge che sosterà per aspettarla, si adeguerà al passo più lento, frenando le più intrepide.

In molti testi della Bibbia, la cui stesura è avvenuta in parte in ambiente di nomadismo e di pastorizia, l’immagine del pastore che custodisce il gregge è stata presa come immagine della cura di Dio, quella che egli ha avuto in modo diretto o attraverso i suoi messaggeri, i profeti, per il suo popolo, il più piccolo tra i tanti popoli.

Se ci pensiamo è ai pastori che è dato per primi l’annuncio della nascita di Gesù il Messia: «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,11-12).

E forse sarà proprio la capacità di cura per il gregge, di protezione per tutte le pecore, per quelle più fragili e deboli il motivo per cui l’annuncio di un Messia, piccolo, fragile come è un neonato, nato in una stalla è stato rivolto a loro, abituati a dormire accanto alle pecore in un riparo o all’aperto. Solo chi ha sperimentato la fragilità e la precarietà può comprendere pienamente e non solo intellettualmente che cosa comporta lo smarrirsi nelle foreste buie o trovarsi sui pendii scoscesi che la vita ci pone davanti.

Eppure l’attenzione del Dio di Gesù Cristo è rivolta in primo luogo a questi piccoli, fragili nell’esistenza anche se a volte con una scorza dura e scabrosa che li ricopre esternamente.

Le novantanove pecore, secondo Dio sono già al sicuro, per un poco possono stare sole, l’urgenza è di mettersi in movimento alla ricerca di quella perduta. Le novantanove possiamo considerarle lontane da pericoli immediati, la perduta rischia di perdere la vita, cadendo da un dirupo o annegando tra i flutti del mare mentre è in viaggio verso pascoli erbosi, o uccisa da un muro che crolla sotto il tiro delle armi mentre sta andando in cerca di cibo.

La pecora perduta, ci interroga ma ancor più ci interpella l’atteggiamento del pastore, immagine della cura di Dio, del suo rallegrarsi per il ritrovare la perduta, per il portarla in salvo: tale è la modalità di agire di Gesù.

Certo uscire a cercare è rischioso, potremmo smarrirci anche noi, annegare anche noi, perdere la vita anche noi, ma è proprio mentre cerchiamo di divenire adulti, adulti nella fede che abbiamo sempre più presente la sequela di Gesù: “forse non abbiamo mai avuto altra scelta che tra una parola folle e una parola vana”, perché per il Signore Gesù, “l’uomo che cammina è quel folle che pensa che si possa assaporare una vita così abbondante da inghiottire perfino la morte” (Christian Bobin).

fratel Michele