Bento XVI e o monaquismo

particolare di icona in stile copto
Le icone di Bose

Avvenire, 24 fevereiro 2012
de ENZO BIANCHI
Bento XVI sempre entendeu o monaquismo como “fundador da cultura da Europa, a procura de Deus, a disponibilidade a escutá-Lo” e uma forma radical de seguir Cristo (artigo integral em italiano)

Avvenire, 24 febbraio 2012
di ENZO BIANCHI

Subito dopo l’elezione a papa di Joseph Ratzinger osservavo come non fossero estranei alla scelta del nome la sosta compiuta a Subiaco alla vigilia del conclave, l’amore sempre mostrato per la regola di Benedetto e il significato che il padre dei monaci d’occidente ha per il cristianesimo europeo. E sottolineavo come il cardinal Ratzinger fosse sempre stato convinto testimone di una parola in particolare della regola benedettina: “Nulla assolutamente anteporre a Cristo, nulla anteporre all’amore di Cristo”. Anche oggi questo precetto monastico può essere preso come chiave di lettura della sorprendente rinuncia compiuta: papa Benedetto XVI non ha voluto anteporre a Cristo nemmeno la sua persona chiamata a svolgere il ministero petrino.

Più volte Benedetto XVI ha sorpreso per la sua acuta comprensione del monachesimo, anche perché, pur avendo frequentato sovente monasteri, non aveva mai scritto su tematiche monastiche. Nel settembre 2007, durante la visita a all’Abbazia di Heiligenkreuz in Austria, ebbe modo di sottolineare la dimensione liturgica della testimonianza monastica per il mondo contemporaneo: “Noi stiamo davanti a Dio – disse ai monaci austriaci – Egli ci parla e noi parliamo a Lui. Là dove, nelle riflessioni sulla liturgia, ci si chiede soltanto come renderla attraente, interessante e bella, la partita è già persa. O essa è opus Dei, con Dio come specifico soggetto, o non è. In questo contesto io vi chiedo: realizzate la sacra liturgia avendo lo sguardo a Dio nella comunione dei santi, della Chiesa vivente di tutti i luoghi e di tutti i tempi, affinché diventi espressione della bellezza e della sublimità del Dio amico degli uomini”.

Ma fu l’anno successivo a Parigi, nello straordinario discorso rivolto al mondo della cultura tenuto al Collège des Bernardins – edificato dai monaci “figli” di san Bernardo di Chiaravalle come luogo di studio e di formazione – che Benedetto XVI sviluppò una lettura “delle origini della teologia occidentale e delle radici della cultura europea”, identificandole con il monachesimo medievale, animato dalla complementarietà tra “desiderio di Dio” e “amore per la parole”: il quaerere Deum e le lettere, la cultura umanistica. Ne scaturì un discorso proprio di chi “dietro le cose provvisorie cerca il definitivo”, affrontando tematiche universali e aprendo vasti orizzonti di senso. Lì mise in risalto come “la cultura della parola”, prezioso patrimonio europeo, grazie al monachesimo si sia sviluppata a partire dalla ricerca di Dio e come questo “cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui oggi non è meno necessario che in tempi passati”. Ne consegue, fu la riflessione di Benedetto XVI, la necessità di un approccio interpretativo della Scrittura alla luce della Scrittura stessa, che rifugga da qualsiasi fondamentalismo nella lettura della bibbia perché “la parola di Dio stesso non è mai presente già nella semplice letteralità del testo”. È il richiamo quanto mai attuale alla “misura interiore” della libertà, alla sua dimensione spirituale che “pone un chiaro limite all’arbitrio e alla soggettività” istituendo “un legame superiore a quello della lettera: il legame dell’intelletto e dell’amore”.

Oltre alla sottolineatura di una lettura orante della Scrittura e della sua dimensione liberante, alla dimensione della preghiera che diviene lettura della storia e lievito di cultura, il papa volle ricordare anche come il monachesimo benedettino abbia anche saputo dare dignità al lavoro umano, anche manuale, in un’epoca in cui “il saggio, l’uomo veramente libero si dedicava unicamente alle cose spirituali” e chi saggio magari non era ma possedeva la terra o il potere si arricchiva con il lavoro degli altri. Così il cristianesimo non sarà estraneo alla nascita della “cultura del lavoro, senza la quale lo sviluppo dell’Europa, il suo ethos e la sua formazione nel mondo sono impensabili”.

Sì, Benedetto XVI ha sempre colto il monachesimo come “ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo” e come forma radicale di sequela cristiana che “rimane ancora oggi il fondamento di ogni vera cultura”. Così i monaci, se fedeli al vangelo e alla loro grande tradizione, possono ricordare all’insieme della chiesa il contributo prezioso che la società attende dai cristiani per la costruzione di una polis segnata da giustizia, pace, libertà e qualità della convivenza.

ENZO BIANCHI

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