Insieme ( , ) speriamo
Lettera agli amici - Qiqajon di Bose n. 77 - Natale 2024
Queste righe vi raggiungono al cuore dell’Avvento, alba di un nuovo anno liturgico e tramonto di un anno civile. Se la scansione del tempo sociale porta sempre più – e con sempre più ansia – a chiederci “che futuro ci attende?”, il tempo della chiesa riporta i cristiani a una domanda ribaltata: “Ma noi, attendiamo davvero il ritorno del Signore risorto?” e a quella conseguente: “Che ne facciamo di questa attesa? Cosa facciamo in questa attesa?”. È alla luce di questa consapevolezza che vorremmo leggere assieme a voi alcune connotazioni che l’attesa cristiana assume nell’anno civile che si sta aprendo.
Nel 2025 ricorrono i 1700 anni dal primo concilio ecumenico, svoltosi a Nicea (nell’attuale Turchia). A questo concilio e al suo contenuto teologico – strutturò tra l’altro il primo nucleo della formulazione del Credo che ancora oggi è recitato in tutte le chiese, detto per questo “Niceno-Costantinopolitano” – saranno dedicati convegni e riflessioni in tutto il mondo cristiano. Da parte nostra vorremmo sottolineare due aspetti che ci paiono estremamente fecondi anche oggi. Innanzitutto il fatto stesso che i cristiani, a una dozzina di anni dalla fine delle persecuzioni generalizzate, abbiano pensato che per affrontare le difficili questioni legate all’annuncio del messaggio cristiano al cuore di un impero pagano fosse necessario che le guide della comunità si ritrovassero insieme affinché “quello che riguardava tutti potesse essere deciso da tutti”, insieme. Nessuna visione idilliaca di quella stagione ecclesiale in cui problematiche complesse e discussioni anche aspre e violente precedettero, accompagnarono e seguirono il concilio: reciproche accuse di eresia, ricorsi all’autorità imperiale – che concretamente si preoccupò di convocare i vescovi a concilio, anche per suoi interessi politici – incomprensioni legate ad approcci culturali diversi e al progressivo distacco dalla comune matrice giudeo-cristiana… Eppure il cammino che le comunità cristiane del IV secolo intrapresero per tentare di risolvere i problemi e operare un comune discernimento fu quello di ritrovarsi insieme per delineare insieme il cammino da percorrere e intraprenderlo in comunione. Si può dire, forse con un po’ di enfasi, che la situazione inedita e complessa venutasi a creare con la diffusione del cristianesimo nell’impero romano stimolò l’ “invenzione” del concilio come strumento per “camminare insieme” anche nella diversità, così da poter offrire una testimonianza condivisa del messaggio evangelico.
Anche per questo, quando il Dicastero per l’Unità dei Cristiani e il dipartimento Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese hanno chiesto alla nostra Comunità di apprestare lo schema per la prossima Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani partendo dal primo concilio ecumenico, abbiamo voluto “rileggere” le tematiche affrontate a Nicea, oltre che mettendone in luce il fondamento biblico, attraverso testi patristici più o meno coevi, ma di aree geografiche e culturali diverse.
Questa convergenza di diversi che cercano di pensare insieme per testimoniare coerentemente l’unico loro Signore ci aiuta anche a capire come mai, tra argomenti di profondo spessore teologico come la stessa definizione del mistero trinitario, a Nicea abbia trovato posto e soluzione una questione come la fissazione di una data comune per la celebrazione della Pasqua. I padri conciliari di Nicea – in massima parte dell’oriente cristiano – compresero che il fatto che i cristiani celebrassero tutti insieme il mistero della morte e resurrezione del loro unico Signore avrebbe costituito una testimonianza eloquente in un mondo che legava calendari e festività a divinità disparate o a eventi riguardanti regni o regnanti in lotta tra loro. L’adozione di un criterio fondamentalmente astronomico e geografico – l’equinozio di primavera a Gerusalemme, corrispondente al momento dell’anno in cui ebbe luogo la morte e resurrezione del Signore Gesù – contribuì a creare una convergenza “oggettiva”, ma pose anche le premesse perché nel corso dei secoli le mutate conoscenze astronomiche originassero calcoli differenti e, di conseguenza, determinassero date diverse per la celebrazione della Pasqua, provocando così una controtestimonianza di fronte ai non cristiani.
Ora, nel 2025 tutte le chiese cristiane, per una rara e felice coincidenza di calendari, celebreranno la Pasqua nello stesso giorno: domenica 20 aprile. Da più parti all’interno del mondo cristiano si vorrebbe cogliere questa duplice circostanza dell’anniversario del concilio di Nicea e della coincidenza della data di Pasqua per rendere permanente tale convergenza su un’unica domenica di Resurrezione per tutte le chiese cristiane. Non sembri una questione marginale, come infatti non parve esserlo ai padri conciliari di Nicea: ne va della credibilità dell’annuncio cristiano, soprattutto in quei paesi in cui i cristiani sono minoranza. Anche se è la celebrazione eucaristica comune ciò cui non smettiamo di aspirare come culmine del cammino ecumenico.
Infine, per il 2025 la chiesa cattolica ha anche indetto il Giubileo, che papa Francesco ha voluto porre sotto il segno della speranza. Siamo consapevoli che questo tipo di celebrazione, fin dalla sua prima ricorrenza nel 1300, ha dato origine a tensioni all’interno della chiesa e ha finito per contribuire in maniera emblematica alla divisione della chiesa in occidente. Ancora oggi il Giubileo è un evento che fatica a offrire opportunità di dialogo ecumenico e suscita perplessità di altro tipo in una società non più cristiana, tuttavia recuperarne il fondamento biblico potrebbe stimolare gesti di testimonianza comune dei cristiani in società che cristiane non sono più o non sono mai state. Sappiamo che le istanze radicali di giustizia sociale che la Torah (cf. Lv 25) pone come precetti da vivere durante il Giubileo non hanno mai o quasi mai trovato attuazione nella realtà storica. Tuttavia alcune di esse non hanno mai perso di attualità e meriterebbero di essere riprese non solo dalle chiese ma anche dalla società civile e dalle sue istituzioni nazionali e internazionali. Pensiamo alla remissione dei debiti, non solo e non tanto tra privati, bensì tra stati, con particolare attenzione ai paesi più poveri, già depredati delle loro ricchezze. O alla restituzione delle terre occupate e alla rinuncia a conquistare o dominare con la guerra e la forza terre abitate da altri popoli, ovunque nel mondo senza alcuna eccezione. O ancora alla libertà concessa agli schiavi, a cominciare da quelli cui non vogliamo dare questo nome: i lavoratori, specialmente immigrati, sfruttati nelle nostre campagne, le vittime della tratta a sfondo sessuale e della violenza di genere o di razza, i bambini-soldato o i minori vittime di abusi…
Possa il Signore di cui attendiamo il ritorno trovare noi suoi discepoli insieme, desti, pronti ad accoglierlo, “con la cintura ai fianchi e le lucerne accese” (cf. Lc 12,33), cioè in abito da lavoro e in cammino, illuminati per discernere la sua presenza nel povero e fedeli nel servirlo in una delle sue sorelle o dei suoi fratelli più piccoli.
I fratelli e le sorelle di Bose
Bose, 1 dicembre 2024
I Domenica di Avvento