La libertà di servire
Fratelli, sorelle,
il testo evangelico di questa domenica (Mc 10,35-45) è capitale per la vocazione cristiana e per la strutturazione e la vita di una comunità ecclesiale in quanto pone un principio e una pratica cristologica centrata sul servizio, anzi, più precisamente, sull’essere servi a immagine di Gesù, il Servo del Signore: “Chi vuole essere grande tra voi si farà vostro servo” (Mc 10,43). Nell’economia cristiana, il farsi prossimo diventa concretamente il farsi servo del prossimo. Ma questo principio e questa pratica sono fondamentali anche nella vocazione monastica e in una vita cenobitica. Facendo eco alle parole di Gesù che dice che “il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire” (Mc 10,45) la nostra Regola ricorda che “non ti è lecito farti servire dagli altri” (RBo 24). Quindi aggiunge che il fratello e la sorella sono chiamati a mettere il proprio carisma, i propri doni, a servizio degli altri (RBo 17); inoltre più volte richiama il servizio ai fratelli e alle sorelle, agli ospiti e alle chiese come tre orizzonti dove la vocazione monastica trova una sua realizzazione. E l’intera Regola termina con il comando: “Sii servo di tutti” (RBo 47).
Certo, la condizione del servire è la libertà. “Libero così tu servirai i fratelli” (RBo 18). Questo passo della nostra Regola che ho appena citato si riferisce alla condizione celibataria che dovrebbe consentire una maggiore libertà nel dare all’amore per fratelli e sorelle la forma del servirli dando concretamente loro tempo, energie, presenza, ascolto. Ma è tutta la persona che è chiamata ad assumere in piena libertà il servizio all’altro. Il che significa che il servizio non lo si fa lamentandosi, che ad esso non ci si sottrae, ma che lo si fa nella gioia, la gioia di chi sa che sta cercando di amare un’altra persona, sta spendendosi per un altro, sta seguendo il Signore venuto per dare la vita per molti. Servire esige una grande attenzione agli altri. Uno spirito di osservazione che vede la stanchezza dei loro corpi e vi reagisce portando aiuto, nota la tristezza dei loro volti e vi pone rimedio cercando di portare gioia, intuisce la solitudine della loro persona e vi risponde cercando di farsi presenza e di donare loro il proprio tempo e la propria presenza.
Per servire occorre poi non giudicare: se giudico l’altro non lo servirò mai, anzi mi distanzierò da lui, eviterò il più possibile di incrociarlo, di parlargli, fingerò di non vederlo. E servire non significa per niente un atteggiamento di sottomissione da un lato o di gentilezza forzata, artificiale, dall’altro. Vi sono a volte modalità di presenza agli altri che si vogliono molto servizievoli, cortesi, corrette, gentili, accoglienti, ma in realtà sono solo espressione della volontà di vedersi gentili e servizievoli ai propri stessi occhi, sempre e in ogni situazione, fino a divenire soffocanti verso gli altri. Anche in questo caso ci si può chiedere se si stanno servendo gli altri o se ci si sta servendo degli altri per alimentare l’immagine di doverosa e autoimposta realizzazione di sé nella via della gentilezza e del servizio.
Un servizio ben vissuto non solo esprime la libertà di chi lo compie, ma opera anche liberazione in chi ne è beneficiario. Lo dice bene la Regola quando avverte di “fare opera di liberazione e non di asservimento” (RBo 34). In particolare vorrei ricordare un prezioso passaggio della Regola nel capitolo sull’obbedienza: “L’obbedienza alla comunità è per te un vero e proprio servizio, per aiutarti a camminare speditamente e con i fratelli sulle tracce di Cristo. A volte ti parrà duro obbedire alla comunità, ma senza questa morte a te stesso come potresti dire di essere uno che segue Gesù con la croce ogni giorno?” (RBo 26). Dove obbedire diviene la via maestra per servire la comunità e per adempiere la propria stessa vocazione monastica. Sì, c’è un servizio che è l’obbedienza. Grazie al quale la comunità viene edificata. Del resto nell’espressione ebraica che indica il Servo del Signore, ‘Eved ’Adonaj, il termine tradotto con Servo potrebbe essere reso con Obbediente.
Perciò, fratelli, sorelle, siamo sobri e vigilanti perché il nostro Avversario, il Divisore, si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede e radicati nella carità che ci porta a farci servi gli uni degli altri nella gioia per costruire ogni giorno la fraternità. E tu, Signore, abbi pietà di noi.
fratel Luciano