Il desiderio di intimità
Tutti noi abbiamo conosciuto quei momenti di ossessione quando qualcuno diventa l’oggetto di tutti i nostri desideri, il simbolo di tutto ciò che abbiamo sempre desiderato, la risposta a tutti i nostri bisogni. Se non arriviamo a essere uno con quella persona ci sembra che la nostra vita sia vuota e priva di significato. L’oggetto del nostro amore ricolma quel pozzo profondo di bisogni che scopriamo in noi. Il volto della persona amata diventa un po’ come il salva schermo del nostro computer. Nel momento in cui si smette di pensare a qualcos’altro, eccolo! È come una prigione, una schiavitù, ma una schiavitù alla quale non vogliamo sottrarci… Divinizziamo la persona amata, la mettiamo al posto di Dio. Evidentemente quello che noi adoriamo è qualcosa che siamo stati noi a creare, una proiezione. Che cosa cerchiamo in tutto questo? Cos’è che provoca questa ossessione? Un desiderio di intimità, il desiderio di essere interamente l’uno con l’altro, di far scomparire le frontiere tra me e un’altra persona, di perdermi in essa, di giungere a una comunione pura e totale. Più che una passione sessuale, penso che la maggior parte degli esseri umani cerchi un’intimità. Se dobbiamo passare attraverso delle crisi di affettività, ci è necessario riconoscere il nostro bisogno di intimità. Io penso che ogni essere umano, sposato o celibe, religioso o laico, debba imparare ad accettare i limiti dell’intimità che si trova a vivere. Il sogno di una comunione totale è un mito che porta alcuni religiosi a desiderare di essere sposati, e molti sposati a desiderare di stare con qualcun altro.
Di certo l’intimità vera e felice è possibile solo se ne accettiamo i limiti. Possiamo proiettare sulle coppie sposate la fantasia di un’intimità totale e meravigliosa, che nella realtà è impossibile, ma che è la proiezione dei nostri sogni. Rainer Maria Rilke ha compreso che non può esserci un’autentica intimità in una coppia senza che ciascuno riconosca che l’altro, in certo qual modo, resta solitario. Ogni essere umano conserva attorno a sé una parte di solitudine che non può essere abolita: “Un buon matrimonio è quello nel quale ciascuno fa dell’altro il custode della sua solitudine e gli accorda questa fiducia, la più grande possibile…Una volta che si è compreso e accettato che, anche tra gli esseri umani più vicini, continuano a esistere distanze infinite, può svilupparsi una meravigliosa vita fianco a fianco, se si riesce ad amare quella distanza che permette a ognuno di vedere nella totalità il profilo dell’altro stagliato contro un ampio cielo”. Nessuno può offrire piena soddisfazione ai nostri desideri. Questo si può trovare solo in Dio. Rowan Williams, sposato e arcivescovo di Canterbury, scrive: “Un essere umano diviene adulto e fedele quando prende coscienza dell’inguaribilità del suo desiderio: il mondo è fatto in modo tale che nulla può dare alla persona un’identità senza carenze e pienamente realizzata”. Oppure, per citare Jean Vanier: “La sofferenza della solitudine è un’angoscia insita nella nostra umanità, poiché nulla nella nostra esistenza può soddisfare completamente le esigenze del cuore umano”. Per gli sposati è possibile una meravigliosa intimità una volta che si sia accettato di essere i custodi della solitudine dell’altro; ma anche per quelli di noi che non sono sposati o che sono impegnati nel celibato è possibile scoprire una profonda e meravigliosa intimità con gli altri. “Intimità” viene dal latino intimare, che significa essere in rapporto con ciò che vi è di più profonda in un’altra persona. Proprio perché sono un religioso, il celibato mi offre una possibilità incredibile di intimità con gli altri. Il fatto di non avere intenzioni recondite e di poter offrire un amore non divoratore e possessivo fa sì che io possa arrivare molto vicino al cuore della vita delle persone
T. Radcliffe, Amare nella libertà, Qiqajon, Bose 2007, pp. 25-31.