Aprite gli occhi e non temete!
26 novembre 2024
Lc 21,5-11
In quel tempo 5mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: 6«Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». 7Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». 8Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: «Sono io», e: «Il tempo è vicino». Non andate dietro a loro! 9Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». 10Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, 11e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Gesù ha appena cercato di trasmettere ai discepoli uno sguardo diverso sulla realtà, rivelando come il gesto apparentemente insignificante di una povera vedova sia in realtà più carico di valore agli occhi di Dio di tante offerte di ricchi e riti solenni nel tempio di Gerusalemme. Ed ecco che “alcuni” – certamente dei discepoli (cf. Mc 13,1) – si affrettano a cambiare argomento: sentono che il tono del discorso sta diventando troppo impegnativo. Subodorano che forse Gesù sta chiedendo anche a loro di comportarsi come quella vedova, che dona “tutta la sua vita” (un po’ come quando, in Mt 16,22, Pietro cerca di allontanare la prospettiva della passione del Messia: “Dio te ne scampi!”).
E cosìin tutta frettadistolgono gli sguardi da quella povera donna per volgerlo di nuovo sulle “belle pietre” che adornano il tempio! La rapidità del cambiamento e la diversità di prospettiva impressionano. E questo la dice lunga su quanto i discepoli, nonostante gli sforzi di Gesù, restino “ciechi” nel loro modo di pensare.
Da parte nostra, non possiamo non farci una domanda scomoda. Tanti anni di vita cristiana sono serviti a cambiare (un po’) il nostro sguardo sul mondo? Oppure anche noi siamo ciechi, ci lasciamo abbagliare come tutti da quello che fa rumore e attira gli sguardi, trascurando quel che resta nascosto, ma che spesso è più grande ed essenziale agli occhi di Dio? Ricordiamoci che il regno di Dio in questo mondo resterà sempre piccolo come un granellino di senape e mai darà spettacolo (cf. Lc 13,19; 17,21).
Nel cosiddetto discorso “escatologico”, che inizia qui e prosegue per tutto il capitolo 21, più che rispondere alla curiosità sul “quando” e sui “segni” della fine di Gerusalemme (v. 7), Gesù vuole anzitutto trasmetterci uno sguardo diverso sulla storia e sulla nostra vita. Uno sguardo sostenuto dalla fede e dalla speranza, e reso penetrante dalla vigilanza. Gesù vuole prima di tutto metterci in guardia contro il rischio di facili allarmismi apocalitticio illusioni pseudo-messianiche, immersi come siamo in una storia in cui sembrano sempre prevalere la menzogna, la violenza e gli sconvolgimenti di ogni tipo.
Gesù annuncia con onestà che certo continueranno ad accadere eventi dolorosi, come guerre, rivoluzioni, terremoti, carestie e pestilenze... ma, allo stesso tempo, nega che essi siano i segni di una fine imminente (“Non sarà subito la fine!”, v. 9). Sono semplicemente eventi che fanno parte della storia e da sempre invitano l’umanità a interrogarsi sulla sua finitudine: indicano che il mondo, così com’è, è sottomesso alla caducità (cf. Rm 8,20) e va verso la sua fine. In una prospettiva di fede, siamo invitati anche a leggerli come le “doglie del parto” di un mondo nuovo (cf. Mc 13,8; Ap 12,2), doglie che preparano e invocano una “nascita” che può venire solo da Dio: “La donna, quando partorisce, è nel dolore … ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Gv 16,21).
Il discepolo, che nella sua preghiera quotidiana ha imparato da Gesù a invocare con fiducia la venuta del Regno di Dio (cf. Lc 11,1), non deve lasciarsi turbare, ma credere che la storia resta sotto il segno di un preciso disegno di Dio (cf. v. 9 deî, “è necessario”).
Soprattutto il discepolo deve credere che l’unico Messia, Gesù, è già venuto e prima del suo ritorno non dobbiamo attenderne un altro (cf. Lc 7,20). “Sono io” e “Il tempo è vicino” sono le parole da lui stesso pronunciate (cf. Mc 1,15; 6,51), lui solo ha potuto dirle in verità. Quando poi ritornerà, non avrà bisogno di ripeterle di nuovo, perché tutti lo vedranno (cf. Lc 21,27; Ap 1,7).
Da quanto è venuto tra noi, il tempo della prossimità di Dio è quello che già qui ci è dato di vivere, seppure per frammenti, a partire dai piccoli gesti quotidiani, come quello della povera vedova. Nulla e nessuno ha il potere – a meno che non vogliamo darglielo noi – di gettarci nella paura e di distoglierci dal fissare il nostro sguardo su Gesù (cf. Eb 12,2). “Nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,39).
fratel Luigi