Chiamati ad annunciare con la vita
Mc 6,7-13
In quel tempo Gesù 7chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. 8E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; 9ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 10E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. 11Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». 12Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, 13scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Gesù è appena stato rifiutato a Nazareth, ma questo non arresta il suo cammino. E proprio in un momento di insuccesso invia anche i Dodici, quegli “apostoli”, che erano la sua comunità itinerante, a partecipare alla sua missione, che era cominciata proclamando: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio si è fatto vicino. Convertitevi e credete all’evangelo” (Mc 1,15).
Gesù li “chiama a sé”: tutto avviene in una relazione di intimità con il Signore ed è il Signore che ha voluto coinvolgerli nella sua vicenda. Nessun orgoglio da protagonisti ma l’obbedienza fiduciosa che si instaura in una relazione di amore.
“A due a due”: non eroiche singolarità ma dimensione sempre comunitaria. “Due” è anche il numero minimo per rendere valida una testimonianza.
E Qoèlet testimonia: “Meglio essere in due che uno solo, perché otterranno migliore compenso per la loro fatica. Infatti, se cadono, l'uno rialza l'altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi” (Qo 4,9-10).
“Dava loro potere sugli spiriti impuri”: la vita di Gesù è stata una lotta contro le potenze del male che opprimono e schiavizzano l’uomo. Guarire l’umano da ciò che è mortifero, porre un germe di risurrezione. È il potere salvifico che Gesù dà ai suoi inviati: possono contrastare efficacemente il male, anche se non è, per ora, una vittoria assoluta.
Nel vangelo di Marco gli inviati possono tenere bastone e sandali, forse come gli ebrei che si preparavano a uscire dall’Egitto verso la Terra Promessa a Pasqua, oppure ciò è dovuto alle condizioni della terra in cui si troveranno concretamente a camminare. Ma tutto esprime uno stile di povertà, di provvisorietà, di debolezza che rende possibile la fiducia nel Padre. Rende anche possibile la libertà, la parresia di fronte ai poteri dominanti, alle ideologie imperanti.
Hanno bisogno che qualcuno li accolga. Entrare in una casa, rimanere … lì si costruisce una comunità, un luogo di comunione, di preghiera.
Occorre anche accettare il rifiuto. I due “figli del tuono”, Giacomo e Giovanni, di fronte al rifiuto di accoglienza incontrato in un villaggio samaritano, volevano far scendere un fuoco dal cielo come punizione ...: “Gesù si voltò e li rimproverò” (Lc 9,54). Tuttavia occorre testimoniare che la parola che portiamo è grande e merita ascolto, è occasione di un giudizio.
Ecco che anche gli apostoli da allora cominciano a predicare, come Gesù: “Convertitevi e credete all’evangelo”. Non hanno un messaggio proprio: hanno l’evangelo di Gesù Cristo. Marco non si dilunga a dire i contenuti della predicazione, pensa piuttosto a dirci lo stile dell’evangelizzatore: la sua vita è già annuncio, la sua testimonianza rende credibile la parola annunciata. Si tratta, pur nella nostra debolezza e miseria, di rassomigliare a Gesù, il Cristo, nostro Signore.
Allora diventa possibile “predicare la conversione, scacciare molti demoni, ungere con olio molti infermi e guarirli”. Diventa possibile respirare un’aria diversa, vivificante e non mortifera. Il passaggio di Gesù è come una festa, apre alla gioia. Il Risorto dirà, ancora e ancora, ai poveri discepoli, sempre inadeguati: “Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15).
fratel Domenico