L’anfora dimenticata

Foto di USGS su Unsplash
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1 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 4,16-30

In quel tempo Gesù disse alla donna samaritana 16: «Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: «Io non ho marito». 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».  19Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 26Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». 30Uscirono dalla città e andavano da lui.


L’incontro di Gesù con la Samaritana si conclude, prima del suo ritorno con i suoi concittadini, con una curiosa annotazione: “La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città…” e raccontò ciò che era capitato. Perché aver messo in risalto l’abbandono di quell’anfora? Si tratta di una dimenticanza o di un abbandono voluto? Il testo non lo dice, ma in ambedue i casi questa osservazione può non essere banale.

Se la donna ha dimenticato la sua anfora, vuol dire che è stata raggiunta da un pensiero che, ad un tratto, ha occupato tutta la sua mente, e ha anche sostituito in lei la ragione per cui era venuta al pozzo di Sicar. Questa dimenticanza manifesta l’effetto dell’incontro della Samaritana con quell’Ebreo sconosciuto che, in un istante e con poche parole, si è rivelato essere il Messia atteso da secoli dai Samaritani come dagli Ebrei. Ma non solo di questo incontro, bensì della fede che questo incontro ha suscitato in lei, fede che contrasta fortemente con la non accoglienza che tante volte Gesù ha incontrato presso i suoi fratelli e sorelle ebrei che non credettero.

Se invece la Samaritana ha lasciato volutamente la sua anfora sulla margella del pozzo, il senso è un po’ diverso; significa che ha trovato in Gesù un motivo di non occuparsi più della sua anfora: con lui non c’è più bisogno di andare attingere l’acqua. Ciò che la donna aveva immaginato quando disse a Gesù: “Dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua” (Gv 4,15) si è realizzato, non fisicamente o materialmente, come aveva immaginato, ma misticamente, o spiritualmente. La Samaritana ha scoperto che da Gesù sgorga davvero un’acqua viva, che diventa sorgente zampillante nel cuore e gli dà vita nuova, come le aveva detto Gesù appena prima (Gv 4,14).

E allora questo evangelo appare come una lettura anticipata dell’evento pasquale che sarà narrato alla fine dell’Evangelo. D’altronde quest’episodio si situa nel quadro della prima Pasqua celebrata da Gesù a Gerusalemme nel corso della quale si era manifestato come il vero tempio di Dio (cf. Gv 2,21-22), tempio che non accoglie solo gli Ebrei, come Nicodemo (Gv 3), ma anche i Samaritani (Gv 4) e persino i pagani, come il funzionario del re il cui figlio venne guarito da Gesù (Gv 4,46-54).

Il Cristo è il tempio nuovo dal quale zampilla la vita in pienezza, ma che può essere tale solo se gli esseri umani, di qualunque popolo, di qualunque fede e qualunque sia il colore della loro pelle, ne sono parte. Egli, insieme a noi, a tutti noi, è quel luogo nel quale Dio è adorato in spirito e verità.

Torniamo a quell’anfora abbandonata sul bordo del pozzo di Giacobbe. Sta lì e c’interroga: “Voi che, col battesimo, siete diventati pietre vive di quel tempio, sapete dove si trova la sorgente d’acqua vera? Sapete che la parola di Cristo, quella che, per l’opera dello Spirito santo, esce vivente dalla lettera morta delle Scritture, è quella fonte di vita eterna, l’unica a rendervi partecipi della vita divina?”

fratel Daniel