Signore, insegnaci a pregare
8 ottobre 2025
Dal Vangelo secondo Luca - Lc 11,1-4 (Lezionario di Bose)
In quel tempo, 1Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». 2Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
3dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
4e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione».
Il vangelo di Luca è particolarmente attento a presentare Gesù in preghiera. Lo fa non solo in riferimento a momenti decisivi della sua vicenda – pensiamo al Battesimo, alla Trasfigurazione o durante la sua Passione –, ma anche nello scorrere dei giorni, ritraendolo in luoghi appartati, di buon mattino. Una preghiera che si esprime come lode nei confronti del Padre, accettazione della sua volontà, richiesta di perdono, fiducioso abbandono nelle sue mani. Gesù aveva un modo tutto suo di rivolgersi a Dio, che chiamava “Abbà”, con un’espressione di confidenza e abbandono che deve avere interrogato chi viveva accanto a lui.
Noi oggi ne possiamo cogliere alcuni aspetti grazie a quel discepolo anonimo che con semplicità gliene ha chiesto conto: “Signore, insegnaci a pregare”. Insegnaci a entrare sempre di più nella tua relazione con Dio. “Insegnaci”. Così pure altrove, il salmista si rivolge a Dio chiedendogli: “Insegnaci a contare i nostri giorni” (Sal 90,12).
Gesù risponde suggerendo una traccia di preghiera semplice e breve, lui che aveva detto: “Quando pregate, non sprecate parole perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate” (Mt 6,7-8). Questa si offre a noi come guida per entrare nella sua relazione con il Padre e diventare sempre più in verità figli e figlie nel Figlio.
E infatti la prima parola è proprio “Padre”, che esprime un rapporto intimo, personale, e ci ricorda la nostra origine: siamo stati pensati e voluti da Dio. Un’invocazione non accompagnata da attributi specifici. Questi sono lasciati a noi e riflettono il nostro stare davanti al Signore con quello che siamo, con la nostra storia.
Le invocazioni che seguono sono eco della vita di Gesù: la sua attesa del Regno; la sua conoscenza di Dio, del mondo, delle relazioni umane; l’esperienza della sua lotta contro il male. Esse hanno una portata universale perché esprimono ciò di cui abbiamo veramente bisogno, che è decisivo per le nostre vite. Siamo abitati da domande, abbiamo fame di pane e di perdono, facciamo i conti con il male.
“Perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore” (Lc 11,4). Gesù non voleva che la preghiera diventasse un luogo intimo, riservato, da cui ogni altra presenza rimanesse esclusa. Se Dio è Padre, la preghiera rimanda necessariamente ai fratelli e alle sorelle che Dio ama come ama ciascuno di noi, e che sono bisognosi come noi di uno sguardo di misericordia.
La preghiera del Padre “nostro” ci è guida anche in questa apertura all’altro. Ricordo un anziano monaco incontrato in Grecia che descriveva la preghiera come una grande sala allestita nel nostro cuore in cui invitare i nostri fratelli. Perché pregare, prima che parlare con Dio, è ascoltare gli uomini; prima che scomodare Dio, è lasciarsi scomodare da qualcuno che ha bisogno di noi aprendogli le porte del nostro cuore.
fratel Salvatore