Gesù cresce libero e sapiente
29 dicembre 2024
I domenica dopo Natale
Luca 2,41-52 (1Sam 20-22.24-28)
di Luciano Manicardi
In quei giorni 41 i genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
51Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
La domenica fra l’Ottava di Natale offre alla contemplazione del credente la famiglia di Gesù. Così, l’evento centrale celebrato nel Natale, l’incarnazione, viene colto nella completezza e nell’articolazione del suo farsi. Esso non si limita all’evento della nascita di Gesù, ma si estende alla sua crescita fisica, psicologica e spirituale (cf. Lc 2,52), al suo divenire umano nell’ambito di una famiglia e di un contesto culturale e religioso preciso (il pellegrinaggio annuale a Gerusalemme, la festa di Pasqua, il tempio, l’apprendimento della Torah con i maestri). Se nella prima lettura (1Sam 1,20-22.24-28) la vocazione di Samuele viene mediata dalla sua famiglia, in specie da sua madre (cf. 1Sam 1,27-28), nel testo evangelico (Lc 2,41-52) la vocazione particolarissima di Gesù, che lo porta a trascendere i legami famigliari, si fa strada attraverso la sottomissione ai suoi genitori. L’istituzione religiosa e quella famigliare svolgono il loro compito quando non solo non ostacolano, ma si pongono a servizio del pieno sviluppo umano e spirituale della persona, dunque dell’espressione della sua vocazione, della sua unicità. Detto questo, non si può non rilevare la distanza enorme che separa questi testi antichi dalla sensibilità e dal contesto culturale odierni circa la famiglia. Il clima di religiosità vissuta e di profonda fede condivisa tra Anna e Elkanà, che li conduce a portare e a lasciare al santuario del Signore a Silo, dal sacerdote Eli, il figlio ottenuto grazie alle preghiere di Anna, è distantissima dalla realtà della maggioranza delle famiglie odierne che, alle nostre latitudini, hanno smarrito la dimensione di trasmissione della fede. La fedele pratica religiosa di Giuseppe e Maria che “si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua” (Lc 2,41), contrasta anch’essa con il clima tranquillamente secolarizzato di chi oggi vive nella società post-tradizionale che ha reciso i ponti con quel passato in cui la fede era trasmessa con il latte materno. Al tempo stesso, il testo evangelico contiene elementi interessanti per chi oggi vive la dimensione genitoriale e famigliare.
L’inclusione tra Lc 2,40 (versetto immediatamente precedente il brano liturgico) secondo cui “il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui” e Lc 2,52, versetto finale della pericope odierna (“Gesù cresceva in sapienza, età [o anche: “statura”] e grazia davanti a Dio e agli uomini”), presentano sinteticamente il processo di crescita di Gesù, alludendo all’ambito religioso e, soprattutto, famigliare in cui è avvenuta la sua educazione. Figlio di Miryam e Yosef, una famiglia ebraica osservante della Torah, Yeshu è circonciso a otto giorni dalla nascita (Lc 2,21), presentato al Tempio in occasione della purificazione della madre a quaranta giorni dal parto (Lc 2,22) e, dodicenne, durante l’annuale pellegrinaggio al Tempio per la Pasqua che “i suoi genitori” (Lc 2,43) compivano regolarmente, si impegna nel talmud torah (apprendimento della Torah), ovvero, ascolta, interroga e dialoga con i maestri al Tempio. Possiamo dedurre che Gesù ha ricevuto un’educazione tradizionale, che doveva essere simile a quella degli altri ragazzini del suo tempo che imparavano a leggere, scrivere, pregare, cantare, interpretare le Scritture nelle sinagoghe. In questo mondo di simboli e riti religiosi che lo precedono, in questo contesto culturale peculiare che lo accoglie e nell’ambiente famigliare aderente a tali usanze e credenze, Gesù sviluppa la sua autonomia e la sua originalità. Colpisce che l’enigmatica affermazione in bocca a Gesù “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio (o anche: “stare nella casa del Padre mio”)?” (Lc 2,49), ci mostra un Gesù che si presenta come l’interprete di se stesso. Un contesto sociale, famigliare e religioso, adempie il proprio compito educativo quando consente al singolo di sviluppare la propria soggettività con libertà e responsabilità.
Tuttavia, la maggior parte della narrazione evangelica non si interessa dei riti svoltisi al Tempio, ma si sofferma su ciò che avviene dopo, quando la carovana dei pellegrini riparte da Gerusalemme e il bambino rimane nella città, al Tempio, mentre i genitori, ignari, prendono la via del ritorno e solo dopo una giornata di viaggio si rendono conto della sua “scomparsa” e lo cercano con ansia finché, “dopo tre giorni” (Lc 2,46), lo trovano al Tempio e restano sconcertati dal suo comportamento e dalle sue parole. Tra genitori e figlio emerge una distanza che stupisce e preoccupa la madre e il padre di Gesù. In che consiste questa distanza che in realtà è lo spazio fecondo al cui interno Gesù può sviluppare la propria individualità? È vero che la struttura famigliare all’epoca era clanica, allargata a zii e zie, cugini e cognati, e che i partecipanti al pellegrinaggio erano legati tra loro da vincoli di conoscenza, familiarità e solidarietà profonde, per cui la “dimenticanza” del figlio non indica immediatamente una colpevole distrazione genitoriale, tuttavia in tutto questo si può cogliere, come dimensione positiva, l’assenza di controllo e di iperprotettività dei genitori sul figlio, che spesso sono invece dimensioni che abitano l’atteggiamento di molti genitori oggi. Amare ed educare non equivalgono assolutamente a controllare. Al contrario, l’attitudine di controllo può essere un ostacolo alla crescita del figlio trasformandosi in un laccio soffocante. Forse, a volte, l’ansia del controllo indica l’incapacità del genitore a separarsi dal figlio stesso. Nel rapporto tra Gesù e i suoi genitori c’è poi spazio per la conflittualità. E questo è vitale. Una volta che Gesù viene ritrovato, sua madre lo rimprovera con parole che esprimono collera ma in modo non-violento. Maria non accusa, ma interroga: “Perché ci hai fatto questo?” (Lc 2,48). Non colpevolizza, ma esprime la sofferenza e l’angoscia sua e di Giuseppe causate dal comportamento del figlio (“Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”: Lc 2,48). Tra genitori e figlio si insinua anche l’incomprensione: “Essi non compresero ciò che aveva detto loro” (Lc 2,50). Sembra quasi che parlino due lingue diverse. Esperienza, questa, non infrequente anche oggi tra adolescenti e genitori. Tra i genitori di Gesù e il loro figlio si instaura una distanza espressa dalle due domande che sottostanno alla loro ricerca affannosa. Anzitutto: Dove? Dov’è il loro figlio? Domanda che ha un significato anzitutto materiale, logistico, ma che il genitore oggi spesso estende a dimensioni ben più radicali: in quale mondo abita nostro figlio? Riprendendo le pagine introduttive del libro di Jonathan Haidt, La generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli, ci si può chiedere se abitano su Marte. Ma la domanda successiva che Maria pone è: Perché? Che indica la profondità dell’incomprensione, e dunque del dolore. Dolore di una separazione che rinnova la lacerazione delle doglie, che prelude a distanze ulteriori che si stabiliranno (e si dovranno stabilire, per la piena vita del figlio) tra figlio e madre, e che richiede alla madre un tempo di elaborazione, di raccoglimento, di riflessione, di “riposizionamento”. “Maria custodiva tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2,51). Sia i maestri al Tempio che i genitori (e questi ultimi molto di più: il verbo usato indica l’essere scioccati, sbalorditi, sbigottiti: Lc 2,48), restano stupiti da Gesù. Insegnanti ed educatori, maestri e genitori, hanno il compito, gli uni, di trasmettere simboli, chiavi ermeneutiche della realtà per aiutare il discepolo a decifrare il mondo e muoversi in esso con consapevolezza; gli altri, di introdurre all’arte della relazione infondendo fiducia, lasciando essere, amando, accogliendo e dicendo dei no, riconoscendo e rimproverando, ma entrambi devono lasciare lo spazio all’imprevisto che l’allievo e il figlio dovrà poter esprimere per nascere veramente a se stesso. Quell’imprevisto è espressione della libertà del singolo, è la cifra della sua unicità, e costituisce lo scarto vitale in cui avviene la crescita che sempre si dispiega tra un’eredità e una novità: la novità di ciascuno che emerge dall’eredità che lo precede e lo accoglie. È sempre la dissonanza che permette la scoperta. È nello scarto e nell’asimmetria che avviene la rivelazione. Come si verifica nel nostro testo dove la ricerca di Gesù diventa il trovare un Gesù sapiente: sapienza (Lc 2,40.52) e intelligenza (Lc 2,47) sono tratti tipici della sapienza veterotestamentaria (Gb 28,20), così come ascoltare, interrogare e dare risposte (Lc 2,46-47) definiscono l’atteggiamento del sapiente come appare spesso nella letteratura sapienziale. In sintesi: se l’odierna celebrazione liturgica si sofferma sulla famiglia di Gesù (la “santa famiglia”), non siamo autorizzati a nessuna visione idealizzata della famiglia di Nazaret. I pur sobri testi suggeriscono che è stato attraverso una storia segnata anche da sofferenze e fatiche, incomprensioni e tensioni, che ha potuto svilupparsi l’umanità libera e capace di amore del Gesù adulto e ha potuto dispiegarsi la sua vocazione. Nel nostro testo Gesù inizia ad affermare la propria indipendenza e autonomia dai genitori, i quali devono fare un cammino per emanciparsi dell’idea che ciò che Gesù ha fatto sia stato fatto contro di loro: Gesù li correggerà e dirà che il suo comportamento non nasceva da un “no” a loro, ma da un “sì” a Dio Padre (v. 49).
Ascolta la presentazione delle tracce di preghiera per il natale