La gioia della fede è quella in cui noi ci identifichiamo nel profondo, in cui facciamo consistere la nostra saldezza, al di là di ciò che stiamo provando e sentendo emotivamente e psichicamente. È la gioia in cui noi facciamo consistere la motivazione della nostra scelta di vita. E che dunque ha a che fare con chi noi siamo, con la nostra identità. E dunque è la gioia che, come dice il quarto evangelista, niente e “nessuno ci può togliere” (Gv 16,22).
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Dove trovare la forza di andare avanti? In una vita monastica, quando si è gettata la propria vita nelle mani del Signore e la si è legata in alleanza con dei fratelli e delle sorelle di cui diveniamo responsabili, lì, in quella spogliazione di sé possiamo trovare una forza e una libertà impensate e impensabili.
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Ciò che viene messo in crisi dal Divisore è la speranza. Togliere alle persone la speranza è la sua grande vittoria. Questa è la grande concessione che noi possiamo fare all’Avversario: perdere la speranza. Il Signore concede a saldezza a chi resiste alla tentazione della disperazione e questa resistenza si fonda sulla fede nella promessa del Signore, nel fare memoria della promessa che Cristo ha fatto di pregare per noi.
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Non fare riserve di sé in una vita comune, in cui si deve cercare il bene comune, tener presente gli altri in ogni nostro movimento e gesto e parola, in ogni luogo e momento, è un atteggiamento fondamentale, che rende possibile la vita comune stessa. Mentre il contrario, il far riserve di sé, è oggettivamente un ostacolare la vita monastica opponendosi soprattutto a ciò che in essa è veramente centrale e faticoso e in certo senso sacramentale: la dimensione comunitaria.
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