Comprendere la misericordia di Dio
18 luglio 2025
Nel racconto evangelico di Matteo troviamo spesso delle citazioni dell’Antico testamento per far vedere come si compiano nel Nuovo testamento con la venuta di Gesù di Nazareth.
Nel racconto evangelico di Matteo troviamo spesso delle citazioni dell’Antico testamento per far vedere come si compiano nel Nuovo testamento con la venuta di Gesù di Nazareth.
Gesù comprende e ci consegna queste parole proprio nel momento del suo fallimento. Ecco il nuovo sguardo che oggi il vangelo ci dona: i fallimenti possono riportarci alla nostra verità e piccolezza amata da Dio, mentre i successi ci mentono.
Il Vangelo di oggi inizia con una domanda che Gesù rivolge ai suoi interlocutori, ma forse anche a ciascuno di noi: a chi può paragonare i suoi contemporanei, quella generazione così diversa eppure così simile a ogni generazione?
Fede non è se non “domanda”. E si accompagna a quell’atteggiamento interiore che interroga e cerca di decifrare gli eventi, non rimane al punto di comprensione che sembra gratificare, ma si spinge oltre nella ricerca di un senso più profondo.
Nel capitolo 10 Matteo ci racconta come Gesù chiama a sé i discepoli e li invia, dando loro indicazioni, istruzioni, regole e avvertimenti. Il testo di oggi inizia con un monito molto forte, un annuncio che ci scuote: “Non sono venuto a portare pace, ma una spada” (v. 34). Sembra quasi una contraddizione nell’annuncio dell’evangelo, una parola dura che ci tocca e ci pone la domanda: “Perché Gesù ci dice questa parola?”
Il brano di oggi, che è strettamente legato a quanto lo precede circa le persecuzioni annunciate ai discepoli, ci dice innanzitutto che queste fanno parte della sequela perché «un discepolo non è da più del maestro […] se hanno chiamato Beelzebul il padrone di casa, quanto più i suoi famigliari!» (v.24). Accanto però all’ineluttabilità del male Gesù per tre volte ci dice di “non temere” (v. 26, v.28, v.31).
Oggi facciamo memoria di Benedetto da Norcia, monaco e padre dei monaci il cui lascito – la Regola da lui scritta – ha profondamente segnato tutta l’organizzazione della vita monastica occidentale. La Regola di Benedetto si presenta come un insegnamento per indicare la via a chi è animato da una ricerca precisa e da un desiderio. Il prologo della Regola indica che questo desiderio è la risposta a un’iniziativa del Signore stesso:
Il testo del Vangelo odierno è parte del discorso missionario che Gesù rivolge ai discepoli e offre una visuale del tutto particolare sui suoi pensieri perché alle sue parole non seguiranno dei fatti, i discepoli cioè non partiranno in missione. Matteo ci presenta spesso un Gesù Maestro che consegna il suo insegnamento ai discepoli tramite lunghi discorsi, ma in questo caso i confini entro cui intendere le sue parole sembrano più importanti del loro contenuto.
Gesù ha appena annunciato la venuta del Regno dei cieli con le guarigioni operate intorno al lago di Tiberiade e sente compassione delle folle stanche e sfinite. L’umanità del nostro tempo non è così diversa! Anche oggi l’incarnazione del Verbo di Dio è segno di una speranza possibile, del grande amore che Dio ha per noi uomini e donne sempre più feriti e perduti.
Il brano di oggi ci rivela uno degli attributi più profondi dell’identità di Gesù: la compassione, nelle sue diverse sfumature. Non assistiamo solo a miracoli, ma accediamo al cuore stesso del vangelo: un Dio che si commuove fino alle viscere e agisce per restituire all’uomo la sua pienezza.
Dopo la morte e resurrezione di Gesù si apre un tempo nuovo. Nel lungo discorso di addio narrato da Giovanni si trovano gli insegnamenti e il mandato per viverlo e divenire discepoli di Gesù: inizia il tempo dell’apprendistato. Nessuna esenzione, nessuna corsia preferenziale per gli apostoli e le donne discepole: essere nel mondo accanto a tutte e tutti, donne e uomini, di ogni cultura, lingua e credo, nella compagnia dell’umanità ma al contempo rifuggire le logiche mondane proposte dal mondo, quelle compiacenti verso ogni agire e verso ogni persona, logiche adulanti e insidianti, mascherate da orpelli luccicanti di potere come solo il maligno sa tramare.
In casa, seduto a tavola, Gesù condivide un pasto con i suoi discepoli e con molti pubblicani e peccatori, mostrando che alla tavola da lui imbandita tutti sono benvenuti, perché a quella tavola sono invitati i meno degni di un invito a pranzo. Quello offerto da Gesù è infatti il banchetto della misericordia, è la festa della gioia del Padre per i suoi figli malati e peccatori, segno e anticipazione del banchetto del Regno (cf. Mt 9,10-13).
Gesù ha appena guarito un paralitico per rivelarci che ha sulla terra il potere di rimettere i peccati. E oggi ascoltiamo un’altra liberazione dal male, un’altra manifestazione del suo perdono che ci ridà vita e libertà dalle nostre paure e catene. Vedendo un uomo seduto al banco delle imposte, un servo del denaro, Gesù lo chiama dicendogli: “Seguimi”; ed egli si alzò e lo seguì.
È Tommaso che con un impeto di amore è pronto a morire per Gesù (cf. Gv 11,16), per la sua causa, e nei discorsi di addio, dopo la lavanda dei piedi, proprio lui chiederà come poter riconoscere la via indicata da Gesù (cf. Gv 14,5). Proprio in quei discorsi Gesù aveva preparato Tommaso e gli altri a quello che doveva accadere, fortificandoli con il dono della pace e mettendoli in guardia rispetto alla possibilità per tutti loro dell’incredulità di fronte a ciò che sarebbe accaduto.
2 luglio 2025
Il racconto di oggi è in quella parte del vangelo di Matteo che segue il discorso della montagna. A quell’insegnamento straordinario in cui si sottolinea l’autorità della parola di Gesù, segue il racconto di dieci miracoli in cui l’autorità ha un riscontro concreto, effettivo: “Egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati” (Mt 8.16). L’interesse dell’evangelista però converge anche sugli effetti che questi segni hanno su chi vede, ascolta e partecipa a quanto accade.