Senza riserve di sé

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Non fare riserve di sé in una vita comune, in cui si deve cercare il bene comune, tener presente gli altri in ogni nostro movimento e gesto e parola, in ogni luogo e momento, è un atteggiamento fondamentale, che rende possibile la vita comune stessa. Mentre il contrario, il far riserve di sé, è oggettivamente un ostacolare la vita monastica opponendosi soprattutto a ciò che in essa è veramente centrale e faticoso e in certo senso sacramentale: la dimensione comunitaria.

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Interiorizzare l’altro

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Il senso dell’altro, principio elementare del discernimento, deve saper comprendere le conseguenze che ha sugli altri ciò che facciamo o non facciamo e come lo facciamo. Non è cosa impossibile questa, anzi, è la base elementare di un amore autentico dell’altro. È al fondamento del principio di responsabilità e si manifesta come rispetto, attenzione, presa in considerazione, discrezione, interiorizzazione dell’altro.

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Semplicità

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In cosa consiste la semplicità? Sul piano personale nel non avere doppi fini, nel non essere tortuosi, nel presentarsi in autenticità. L’atteggiamento personale di semplicità aiuta molto l’edificazione della vita comunitaria nella serenità, nell’armonia e nella pace. Soprattutto nella verità. Sul piano comunitario la semplicità consiste nell’eliminare, o almeno nel ridurre al minimo, la dicotomia tra immagine esterna e realtà interna, tra immagine e vissuto.

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Radicalità di comunione

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Radicalità indica ciò che ha a che fare con le radici, con l’essenza intima di una realtà, con la sua verità costitutiva e irrinunciabile, fuori dalla quale tale realtà smentisce se stessa. Non si dà vita comune senza comunione, e dunque senza ricerca di comunione. E questa comunione, che è richiesta a ogni battezzato, è ben specificata nella nostra Regola, per noi che facciamo vita monastica, come radicalità di comunione anzitutto nei beni spirituali e nei beni materiali.

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L’attitudine dell’ascolto

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Il ritiro ci chiede l’attitudine dell’ascolto perché ascoltando una parola monastica che viene da un altro ambiente monastico possiamo guardare alla nostra vita in maniera rinnovata: il fine non è quello di avere informazioni nuove, ma di approfondire, di andare più a fondo di noi stessi, della nostra vita e della nostra vocazione. Non l’esteriore informazione ne è il fine, ma l’interiore trasformazione.

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La gioia come obbedienza

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L’esercizio alla gioia è mettere in pratica la fede, la vita in Cristo. E diviene dono per la comunità. Perché la gioia, la gioia nel Signore, è diffusiva e spande luminosità: anche la gioia edifica la comunità, anche la gioia è obbedienza al Vangelo, anche la gioia nasce dalla fede e la esprime.

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Sulla stessa strada

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Giovanni Battista, il Precursore del Messia e, in certo modo, anche della vita monastica, non è solo uno che conosce le Scritture, ma che le vive. E per vivere le Scritture nella propria carne occorre viverle per tutta la vita. Occorre essere loro fedeli e declinarle nelle diverse situazioni in cui ci si viene a trovare, anche e soprattutto quelle di contraddizione, di ostilità, di inimicizia.

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