Amare il nemico che è in noi
C’è un livello di divisione interiore profonda che ci impedisce di conoscerci adeguatamente, e quindi di accettarci e amarci, così che possiamo anche accettare e amare gli altri che stanno accanto a noi.
C’è un livello di divisione interiore profonda che ci impedisce di conoscerci adeguatamente, e quindi di accettarci e amarci, così che possiamo anche accettare e amare gli altri che stanno accanto a noi.
Vi è una potenza nel corpo comunitario che consiste nel fatto che la comunità diventa alveo di accoglienza della grazia, sacramento della presenza del Signore, ma questo solo se i suoi membri sono mossi dall’unico amore e dalla stessa fede, basati sul medesimo fondamento e tesi all’identico fine.
La cella è pedagogia alla vita interiore: ci guida verso l’interiorità, cioè verso l’integrazione personale, corpo, mente e spirito, e dunque aiuta la nostra unificazione.
Il silenzio interiore è innanzitutto silenzio della memoria, per non continuare a essere abitati e disturbati da ricordi del passato che ci tolgono la pace, che ci fanno vivere di nostalgie o di rancori o perfino di odio.
Sforzarsi, perdere la vita, rinnegare se stesso, pazientare: tutte operazioni che trovano senso e diventano non solo comprensibili ma anzitutto accettabili e poi anche vivibili se esprimono fede nel Signore, amore e libertà, se avvengono nello spazio dell’amore e della libertà.
La vocazione di ciascuno è letta come sguardo d’amore del Signore: uno sguardo d’amore che è anche sguardo di elezione. La chiamata significa essere visti, conosciuti personalmente, intimamente, e questo sguardo d’amore illumina, dà senso e direzione all’esistenza.
La nostra traiettoria è disegnata dal Vangelo, è la vita di Gesù descritta nel Vangelo e a cui rinvia la Regola che vuole essere un aiuto “per camminare più speditamente sulle tracce di Cristo” (RBo 5) o, per dirla con la Regola di Benedetto, per “correre sulla via dei comandamenti del Signore con cuore dilatato” (RB Prologo)