Fraternità che resta umana

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La nostra vita comune non deve essere una parvenza di fraternità umana, in nome della fraternità “soprannaturale” che è. Sarà un’autentica fraternità soprannaturale soltanto se è una fraternità umana autentica. L’interdipendenza che lega i membri della fraternità li sottomette gli uni agli altri...

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Vita comune e fraternità

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Come base e nerbo della nostra vita comune, noi non possiamo non contare che sulla carità fraterna. La comunione alla vita di Dio è la sola fonte di un amore reciproco per la particella della chiesa che noi siamo. Qualunque sia l’aspetto di questo amore che fra di noi abbia bisogno di venir rigenerato, non vi è che questa sorgente capace di rigenerarlo...

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Agape e comunità

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Agape non è amore debole, passivo. E’ amore in azione. Agape è amore che cerca di preservare e creare comunità. E’ cura perseverante per la comunità anche quando qualcuno cerca di frantumarla. Agape è la volontà di coprire qualunque distanza per restaurare la comunità. Non si ferma al primo miglio, ma percorre anche il secondo miglio per restaurare la comunità...

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Unicità della persona e desiderio di comunione

Ogni persona ha la sua storia personale che la rende unica. Può essere stata accettata o rifiutata, avere un passato di sofferenza interiore e di relazioni difficili con i genitori. Ma in ogni essere umano c’è un ardente desiderio, e nello stesso tempo una certa paura della comunione e dell’appartenenza. Ciò che desideriamo di più è l’amore e nello stesso tempo è ciò di cui abbiamo più paura. Ci rende vulnerabili e ci apre, ma è allora che possiamo essere feriti dal rifiuto e dalla separazione. Possiamo aver paura dell’amore perché abbiamo paura di perdere la nostra libertà e la nostra creatività. Desideriamo appartenere a un gruppo, ma nello stesso tempo abbiamo paura di trovarvi una certa morte perché forse non saremo più guardati come unici. Desideriamo l’amore, ma abbiamo paura della dipendenza e dell’impegno che implica. Abbiamo paura di essere utilizzati, manipolati, soffocati, distrutti. Nei confronti dell’amore, della comunione e dell’appartenenza con tutte le loro esigenze, siamo tutti ambivalenti ...


La nostra civiltà occidentale è una civiltà competitiva. Fin dalla scuola il bambino impara a “vincere”; i suoi genitori sono incantati quando è il primo della classe. È così che il progresso materiale individualista e il desiderio di salire di grado per un prestigio più grande hanno avuto la meglio sul senso della comunione, della compassione e della comunità. Si tratta adesso di vivere più o meno soli nella propria casetta, con un cartello sulla porta che dice: “Attenti al cane!”, custodendo gelosamente i propri beni e cercando di acquistarne altri. È perché l’occidente ha perso il senso della comunità che sorgono, qua e là, piccoli gruppi che cercano di ritrovare quello che è andato perduto (JEAN VANIER, La comunità: luogo del perdono e della festa, Jaca Book, Milano 2000, pp. 32-33)

Vivere la pace in comunità

La relazione personale richiede tenerezza e gentilezza. L’opposto dell’amore è la durezza di cuore e l’insensibilità; è l’indifferenza agli altri e a ciò che pensano, sentono e richiedono, evitando di incontrarli e costruendo meccanismi di difesa. La paura rinchiude le persone dentro i sistemi di difesa propri di ciascuno, ma la pace non è semplicemente l’assenza di guerra e non è solo vivere accanto agli altri, ignorandoli o evitando il contatto con loro. La pace implica la conoscenza reciproca, l’apprezzamento dell’altro, il riconoscere e accogliere i valori che ciascuno possiede e dona all’altro. La pace deriva dalla comunione dei cuori, in cui si scopre che siamo veramente fratelli e sorelle, appartenenti a una comune umanità. Questa comunione di cuori non è per niente sentimentale; non significa semplicemente mettersi al sicuro nel calore di un gruppo amico. Tale comunione richiede che insieme, come comunità e come amici, siamo impegnati a lavorare per la pace e la giustizia. La pace è il frutto dell’amore, un amore che è anche giustizia. Ma crescere nell’amore richiede fatica, una dura fatica. E può causare dolore, perché implica una perdita delle certezze, delle comodità, ferisce quel rifugio in cui siamo al sicuro e ci obbliga a definire meglio noi stessi.

Da “Trovare la pace” di Jean Vanier, ed. Messaggero di Padova 2004