Il trionfo della vita

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La resurrezione di Gesù non è un evento specifico riguardante solo la sua persona e la sua sopravvivenza. È l’evento che dà senso alla nostra storia e al nostro mondo. Esso introduce nell’evoluzione una breccia che rivela il suo trovarsi interamente sotto il segno dell’amore di Dio. Si possono discernere nel cosmo dei segni che annunciano la disgregazione dell’universo, ma non si può dubitare dell’avvenire di un mondo di cui fa parte il corpo di Cristo risorto. I legami che ci uniscono a lui non permettono che noi abbiamo un avvenire diverso … Niente potrà separaci dall’amore di Dio tranne il mistero della nostra libertà, perché l’amore non si comanda ed esige una libera risposta; ma allora, separandoci da Dio che è la vita, creiamo il nostro proprio nulla.

Non è soltanto l’avvenire del nostro mondo, ma anche il nostro presente che è implicato dalla resurrezione di Cristo. Già oggi essa è vittoria sulla morte, è denuncia da parte di Dio di tutte le forze di distruzione. Al cuore della nostra storia Dio si è manifestato come colui che assicura il trionfo della vita, dell’amore e del perdono sulle forze del male. Messo a morte in odio a tutto ciò che rappresentava, Gesù nella sua resurrezione consacra la vittoria di un’umanità che ha fatto fiducia al Padre e alla riuscita del suo progetto di divinizzazione dell’uomo. A questo punto appare in piena luce quello che potrebbe essere il nostro fondamentale peccato: il rifiuto dell'avvenire che Dio ci offre

Quando noi pensiamo alla nostra resurrezione la situiamo spontaneamente alla fine dei tempi: e tuttavia, c’è continuità fra il nostro oggi e l’eternità cui Dio ci chiama. Il che significa che ci devono essere nelle nostre vite delle esperienze di morte e di resurrezione tali da aiutarci a intravedere l’avvenire che Dio ci mette davanti …

Nelle nostre vite noi siamo confrontati a delle morti parziali che vengono a minare il nostro orgoglio e la nostra sufficienza; anche noi possiamo conoscere momenti di solitudine e di agonia in cui tutto sembra abbandonarci. Non possiamo allora far altro che ripetere a nostra volta: “Se è possibile, passi via da me questo calice!”. E forse per molto tempo sarà questa l’unica nostra preghiera. Se abbiamo il coraggio di proseguire e di arrivare a dire: “Se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà”, potremo allora rialzarci e sarà come una resurrezione

“Voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io” (Gv 17,24). Di fronte a quest’appello alla resurrezione non siamo del tutto sprovvisti di esperienze che ci permettano di percepire come per anticipazione a quale rinascita ci chiama la nostra speranza. La nostra personale esperienza e quella dei santi ci offrono dei segni tangibili della potenza dello Spirito che trasfigura le nostre vite.

 Michel Rondet, Chiamati alla resurrezione

Fratellanza e sorellanza

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La “rivoluzione della tenerezza”, di cui parla papa Francesco, inizia naturalmente nel mezzo delle nostre relazioni quotidiane, ma riguarda poi soprattutto in modo del tutto specifico l’altro, e cioè chi è “fragile” o “debole”, gli esclusi e la terra. La fraternità si traduce qui in forma assolutamente concreta in un impegno per l’“inclusione sociale dei poveri” e per l’“ecologia integrale”; nella Laudato si’ papa Francesco parla pertanto anche di “fraternità universale”.

Una simile traduzione richiede il dialogo sociale … capacità di ascolto che è il nucleo di una mistica della fratellanza e sorellanza. Infatti senza un simile ascolto e una correlata visione contemplativa, senza un simile vedere e ascoltare che non si accontenta di analizzare la situazione, ma sempre di nuovo da capo osa “trasformar[la] in sofferenza personale” (LS 19), non è possibile un agire etico di lunga durata … “Sorellanza e fratellanza” sono in gioco affinché la complessa varietà pentecostale possa trasformarsi in unità e totalità; cosa che tuttavia riesce soltanto se tale fratellanza si radica contemporaneamente nello spazio delle nostre relazioni quotidiane e nell’amore di Dio che cerca la felicità degli altri. Non un approccio unidimensionale, ma soltanto unafine sensibilità stilistica e un pensiero stilistico possono svelare, approfondire e trasmettere questa mistica nascosta nella “fratellanza e sorellanza”.

La riforma della chiesa, ardentemente desiderata da papa Francesco, si basa su queste pochissime e in fondo semplici caratteristiche protocristiane. Come mostra il primo capitolo della Evangelii gaudium, l’“uscita da sé verso il fratello” che costituisce la fraternità è il movimento fondamentale spirituale-pneumatico che definisce essenzialmente non solo la chiesa e i “discepoli missionari”, ma anche il nucleo di ogni umanità. Soltanto se si cerca di vivere tutto ciò in modo credibile internamente alla chiesa, esso può anche venire scoperto e stimolato come già presente nello spazio della società e recepito come richiesta profetica del cristianesimo, rivolta tuttavia sempre anche al cristianesimo.

Se la mistica della fraternità inizia con la percezione e l’ascolto dell’altro, di ciò che è fragile ed escluso, nella chiesa questo si mostra nel fatto che tutti possono partecipare al dialogo di fede … Qui si colloca il punto saliente di una vita ecclesiale in stile nuovo: papa Francesco fa chiaramente capire che il senso della fede vale anche per coloro che non trovano parole e non dispongono degli strumenti adeguati per esprimere con precisione la loro esperienza di fede, ma colgono intuitivamente le “realtà divine” per una “certa connaturalità” con esse.

L’“uscire da sé verso gli altri” non solo caratterizza propriamente una dinamica cristiana indotta dalla sacra Scrittura, ma costituisce il nucleo dell’autentica umanità. Pertanto parlo anche di un processo in cui la chiesa viene interrogata rispetto alla sua umanità: soltanto se essa assume e ascolta davvero queste richieste, può rivendicare profeticamente tale umanità anche nella società, e mai senza altri attori. Per la prima volta nei testi di papa Francesco ci si congeda in questo modo definitivamente dal rapporto classico tra chiesa e società a favore di una fraternità mai garantita, sempre minacciata dalla violenza e da realizzare ogni volta di nuovo. In primo piano non sta dunque la questione della verità (anche se questa non è mai esclusa); infatti, al posto di un’autodifesa apologetica, la chiesa offre risorse spirituali molto specifiche, con le quali le nostre società, proprio qui in Europa, potrebbero superare le crisi che le scuotono. La chiesa viene in questo senso intesa per così dire come “rabdomante” missionaria che rintraccia con sensibilità spirituale ciò di cui si parla nel vangelo come già presente nell’altro.

Christoph Theobald, Fraternità. Il nuovo stile della chiesa secondo papa Francesco

La debolezza di Dio: amarci

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Dio, nel suo amore, ha sempre avuto un unico progetto per l’uomo, un progetto di vita beata. Creandolo a sua immagine, lo destinava all’immortalità, cioè alla partecipazione della sua vita eterna: così l’avevano compreso i padri della chiesa.

Tuttavia, nato dalla terra, l’uomo era sottomesso alla morte che assoggetta tutto ciò che comincia a essere; egli non poteva entrare in Dio se non a condizione di rinascere dall’alto (cf. Gv 3,3), se l’accettava liberamente. Come ci ha creati tutti in Cristo, per mezzo di lui e in vista di lui (cf. Col 1,16), così Dio ha deciso da sempre di strapparci alla morte e di aprirci un accesso fino a lui attraverso la resurrezione di Cristo, di cui aveva previsto che la perfetta obbedienza al suo disegno di amore avrebbe effuso la sua grazia sulla moltitudine degli uomini (cf. Rm 5,15.19).

La resurrezione di Cristo dispiega dunque la sua potenza di liberazione dalla morte nella storia umana fin dal suo inizio; essa è inserita nell’immagine di Dio che noi portiamo come una chiamata, una promessa, un pegno, una grazia, un dinamismo che apre lo spirito dell’uomo su un’alterità assoluta, che orienta le sue scelte di vita verso una trascendenza infinita, che sollecita la sua libertà nel senso del disegno creatore. La salvezza secondo la Scrittura è vista come una storia d’insieme, un’opera globale: è la vittoria della vita sulla morte, che è il senso della creazione; è la riuscita del disegno divino relativo all’umanità in quanto totalità … Il disegno del Dio insieme creatore e redentore, padre comune degli uomini, ha racchiuso questa solidarietà in uno solo, nell’evento indivisibile dell’uomo Gesù, la cui resurrezione lotta vittoriosamente contro il peccato fin dall’origine dei tempi e la cui morte rigenera il mondo fino alla fine dei tempi. La fede che associa morte e resurrezione all’atto creatore restituisce fiducia nella salvezza del mondo …

Il peccato è ogni sottrarsi o resistere al disegno di Dio, è tutto ciò che deteriora e divide l’immagine di Dio che tutti noi portiamo in modo solidale, e poiché questo disegno è il nostro bene e la nostra felicità, e questa immagine è la nostra dignità e la nostra unità, Dio si ritiene offeso da tutto ciò che attenta al bene e alla felicità degli altri, alla dignità e all’unità dell’umanità. Noi non avremmo il potere di offendere Dio se egli non avesse la debolezza di amarci; il peccato è la rottura della solidarietà tra coloro che Dio ama di un unico e medesimo amore. Ecco perché l’evangelo erige l’amore del prossimo all’altezza dell’amore di Dio (cf. Mt 22,39) e mostra nel perdono delle offese e nell’amore anche nei confronti di coloro che ci fanno del male la conformità suprema al comportamento di Dio creatore verso le sue creature, che egli ritiene tutte ugualmente suoi figli: “Amate i vostri nemici ... per essere figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti ... Voi dunque siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt 5,44-45.48).

Joseph Moingt, Gesù è risorto! Storia e annuncio

Qualcosa di non noto!

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Questo, è il corpo. Una parte del corpo, un corpo affaticato e indebolito. Il piede, corpo con incrostazioni di fango e di escrementi, corpo insudiciato dal contatto con il suolo polveroso della Palestina. Lavare il piede, si tratta di ciò che sta in basso, di ciò che tocca fare all’inferiore, al subalterno, allo schiavo, anche alla donna, in una gerarchia indiscussa e indiscutibile, che per il racconto di Giovanni il Teologo viene a “sollecitare” – nel senso di scuotere, di agitare –.

Se nel racconto sinottico dell’ultima cena Gesù dice: “Questo è il mio corpo”, qui il Vangelo di Giovanni mostra il corpo. A cominciare da quello di Gesù, che viene esibito, letteralmente messo a nudo. Carne consegnata, prima della sua morte. Sì, alla lettera, Gesù nudo, Gesù denudato, o meglio – e questo diventa decisamente scioccante – Gesù che si denuda. Là dove, durante l’ultima cena, il Gesù dei sinottici diceva: “Questo è il mio corpo”, il Vangelo di Giovanni sembra dire: “Questo, è il corpo”, e mostra quel corpo. Ce lo mette sotto gli occhi, in modo tale che lo spessore del corpo sia percepibile dai sensi, che rientri nella sfera sensibile.

Il corpo nudo del Figlio di Dio che si offre allo sguardo, quel corpo nudo sarebbe forse ancora tollerabile se si limitasse a fare questo: mostrarsi. Ma no, tocca pure. Lava. Lava dei piedi e li carezza … Gesù non riprende, di fatto, una prassi già consolidata? Non compie un gesto privo di significato particolare, che corrispondeva a una semplice attenzione igienica – si rammenti che a quel tempo ci si spostava in sandali, su strade fangose –, e che inoltre esprimeva l’accoglienza? Volendo... è un’interpretazione possibile. Tuttavia non bisogna dimenticare un dettaglio dell’episodio raccontato da Giovanni.

Il testo afferma che Gesù si alzò “durante la cena” (Gv 13,2), dunque al cuore del pasto, per lavare i piedi dei discepoli... Si tratta qui di un modo di procedere a dir poco singolare. I piedi degli invitati si lavavano al loro arrivo e non a metà pasto. A questo scarto dalle consuetudini ne segue un altro, sul quale generalmente tutti insistono molto: il Maestro qui prende il posto dello schiavo (o della donna) e procede personalmente alla lavanda dei piedi. Ma il primo scarto, che riguarda il momento insolito in cui il gesto viene compiuto, non è meno rilevante: esso spiazza il lettore rispetto alle sue aspettative e lo porta a chiedersi quale significato abbia ciò che sta avvenendo e che manifestamente non si inscrive nell’ordine del già noto (cioè la lavanda dei piedi come prassi igienica e come gesto di accoglienza).

Se la scena della lavanda dei piedi, nel Vangelo di Giovanni, evoca e rende presente quell’orizzonte conosciuto, essa non si esaurisce in esso … È stupefacente il fatto che Gesù, non soddisfatto di compiere un gesto così singolare e, per certi versi, scioccante, abbia anche inteso istituirlo come prassi comunitaria: “Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13,15). Gesù ha compiuto un gesto, poi ha chiesto che si continuasse a farlo dopo di lui; ha lavato i piedi dei discepoli, arrischiando un atto che non poteva non assumere un carattere enigmatico, e poi ha comandato ai discepoli di fare lo stesso, sul suo esempio, alla sua maniera.

 François Nault, La lavanda dei piedi

Pasqua: la verità illumina la menzogna

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La resurrezione di Gesù non è semplicemente il risorgere e l’essere restaurata al mondo della sua identità passata. In modo ugualmente importante, è il “risorgere” dell’identità passata di quanti sono stati con lui. La verità risorta ci rivela gli autoinganni che ci hanno attirato nel vortice della distruttività. “Guarda”, dice il Cristo risorto, “e vedrai che, qualsiasi fossero le tue speranze e i tuoi desideri, tu eri ancora intrappolato in fantasie, nella cecità riguardo a te stesso e alla realtà che ti stava di fronte. Guarda come mi hai messo in trappola e consegnato alla morte. Impara la profondità della tua resistenza alla verità”. E tuttavia quel passato condiviso con Gesù sta ora, nella sua interezza, per essere trasformato: mentre apprendiamo la verità del suo aspetto tragico, apprendiamo anche che alla tragedia è intrecciata la speranza. La verità incarnata, presente nel mondo umano, resta immediatamente, inevitabilmente impigliata nei rigogliosi viticci della fantasia e dell’autoillusione umane. Durante tutto il ministero di Gesù, ci viene ricordato il desiderio dei discepoli, come pure della “moltitudine”, di un salvatore congruente con le loro proiezioni e aspirazioni. Non c’è via d’uscita da questa ragnatela, perché restarvi impigliati è inseparabile dall’essere umani, quella condizione di imperfetta conoscenza e imperfetta comunicazione, combinate con l’impulso a strutturare e sottomettere il mondo e domarne la contingenza. E dunque la verità in questo mondo è una straniera, essenzialmente e profondamente vulnerabile: il suo entrare in rapporto con il mondo o parteciparne comporta rifiuto, crocifissione al di fuori delle mura della città. Purtuttavia essa èentrata nel mondo, si è lasciata mettere in relazione con la sfera della menzogna distruttrice; e anche se rigettata, non può venire annullata. Se il calvario mostra i legami tra verità e menzogna demolendo la prima fin quasi all’estinzione, la Pasqua ci mostra i medesimi legami, la medesima interconnessione del mondo umano, rovesciati, così che la verità attira alla luce la menzogna.

Il nostro rapporto con la verità, con Gesù, ha portato alla croce: il suo rapporto con noi rimane, indistruttibilmente, ad assicurarci che il nostro tradimento non è l’evento definitivo del mondo. Noi possiamo anche tradire, ma quel mondo caratterizzato dal tradimento è ora intrecciato a una realtà incapace di tradire. La fedeltà di Dio ha indossato un volto umano, attraverso il calvario e oltre. La verità incarnata, “resuscitata da morte”, stabilisce tale fedeltà quale fondamento nel mondo di una speranza inesauribile, persino in mezzo ai nostri autoinganni.

Conoscere l’intera portata e l’intero costo della nostra non adesione alla verità, senza esserne mutilati, paralizzati, è ciò che viene offerto dal Cristo risorto: memoria restaurata nella speranza … La nostra identità di traditori restaurati, di nemici accolti, è fondata nell’agire presente di Dio nella comunità cristiana, che mette Gesù davanti agli occhi di quella comunità. Ci vengono offerti tanto un passato quanto un futuro, una vocazione. Quell’assicurazione di grazia futura è implicata nel nostro correlarci con Gesù: man mano che consapevolmente e deliberatamente esplicitiamo il nostro impegno a “essere con Gesù”, lasciando che la sua verità ci restituisca il nostro passato, ci immettiamo nel processo per cui quella “correlazione” umana che è stata resa distruttiva e infida dal nostro autoinganno e dal nostro orgoglio diviene salvifica.

 Rowan Williams, Resurrezione

Nessuno ci priva della misericordia del Signore

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Se ogni anima conoscesse il Signore, se sapesse quanto egli ci ama, non solo nessuno si dispererebbe, ma nemmeno mai si lamenterebbe. Ogni anima che ha perso la pace deve pentirsi e il Signore le perdonerà i peccati e ci saranno allora pace e gioia nell’anima. Non sono necessari altri testimoni, ma lo Spirito stesso le testimonia che i peccati le sono stati perdonati. Ecco il segno del perdono dei peccati: se hai in odio i peccati, significa che il Signore ha perdonato i tuoi …

A chi si pente il Signore offre il paradiso e il regno eterno insieme a lui. Nella sua infinita misericordia non ricorda i nostri peccati, proprio come sulla croce non ha ricordato quelli del ladrone. Grande è la tua misericordia, Signore; chi potrà renderti grazie in modo degno per lo Spirito santo che hai effuso su tutta la terra? Grande, Signore, è la tua giustizia. Hai promesso ai tuoi apostoli: “Non vi lascerò orfani”; noi ora sperimentiamo questa bontà e la nostra anima sente che il Signore ci ama. Chi non lo sente, si penta e viva secondo la volontà di Dio e allora il Signore gli concederà la sua grazia, che guiderà l’anima. Ma se vedi un uomo peccare e non ne hai compassione, allora la grazia ti abbandonerà.

Abbiamo ricevuto il comandamento di amare: l’amore di Cristo ha pietà di tutti, lo Spirito santo insegna all’anima a adempiere i comandamenti di Dio e le dà la forza di compiere il bene. Spirito santo non ci abbandonare! Quando tu sei con noi l’anima sente la tua presenza ed è beata in Dio, poiché tu le concedi di amarlo ardentemente…

A chi è misericordioso il Signore perdona subito i peccati. L’uomo misericordioso non ricorda il male ricevuto. Anche se lo hanno offeso o gli hanno preso ciò che gli appartiene, rimane imperturbabile, perché conosce la bontà di Dio e nessuno può privarlo della misericordia del Signore, perché essa abita nell’alto dei cieli, presso Dio …

Il Signore vuole che amiamo il nostro prossimo; se tu pensi di lui che il Signore lo ama, significa che l’amore del Signore è in te; se pensi che il Signore ama molto la sua creatura e tu stesso provi compassione per tutto il creato e ami i tuoi nemici ritenendo di essere il peggiore di tutti, ciò significa che in te la grazia dello Spirito santo è grande.

Silvano dell’Athos, Nostalgia di Dio. Tutti gli scritti

Perdono: un dono in pienezza

Il dono che giunge alla sua pienezza diventa perdono. Nel testo del Vangelo di Luca è decisivo il perdono di Dio, che già la fede di Israele considerava il “Dio dei perdoni” (cf. Ne 9,17). Per Gesù, il perdono è una sorta di imperativo, è il contrassegno dell’esistenza cristiana: quando, interrogato da Pietro, afferma che si deve perdonare settanta volte sette (cf. Mt 18,22), vuole dire che occorre perdonare sempre. E la missione che affida ai discepoli è proprio quella del perdono (cf. Gv 20,22), quel perdono che lui ha praticato in punto di morte (cf. Lc 23,34). Infatti, come lui, Stefano è morto perdonando i suoi uccisori (cf. At 7,60). “Ora comincio a essere discepolo”, scriveva Ignazio di Antiochia ai cristiani di Roma, mentre si approssimava al martirio. E, in un’altra lettera, raccomandava di pregare per i suoi persecutori. Diventava discepolo nel dono della vita e nel perdono, di cui riconosceva con realismo la fatica …

È qualcosa che va contro tutti i nostri istinti, eppure è una possibilità dell’uomo. Non è detto che si riesca a perdonare, ma può accadere. Addirittura ad Auschwitz, nei gulag, nelle carceri dell’apartheid, così come nella quotidianità dolorosa degli amori feriti. Solo dopo un lungo cammino, però, un vero e proprio lavoro interiore che può durare anni e anni.

Nell’esperienza cristiana è fondamentale la consapevolezza del perdono ricevuto, di essere in primo luogo noi stessi dei perdonati, sempre accolti da Dio. E da lui riceviamo lo Spirito che ci rende capaci di perdono. Il valore personale e sociale del perdono è nell’interruzione delle dinamiche del risentimento che impediscono comunicazione e solidarietà. Non si torna a prima dell’offesa, cosa impossibile in molti casi, ma la si può superare. Si può guarire il veleno del male e del rancore che suscita in noi … Ecco che cos’è il perdono, è il dono della pace che dà sollievo alla rabbia e al dolore per le ferite subite!

E il passo successivo è la “compassione”, la quale nella Bibbia accompagna sempre la misericordia di Dio. Egli si rivela come “misericordioso e compassionevole” (cf. Es 34,6; Sal 85,15; Sal 102,8; Sal 110,4; Sal 144,8-9; 2Cr 30,9; Gen 4,2).

Se la misericordia è il sentimento profondo dell’essere “presi nelle viscere” dall’altro, la compassione è un atteggiamento di condivisione della sua sofferenza. Infatti, secondo la sua etimologia latina, la compassione è il cum-patior, il “soffrire con” la persona che incontriamo, l’essere coinvolti nelle sue sofferenze. Tutto l’opposto di quell’anestesia sociale che ci fa passare accanto agli altri con l’indifferenza che si riserva a delle sagome di cartone. Umanamente, non sempre ci sono soluzioni e rimedi al male. Ma la compassione, il non lasciare una persona sola nella sofferenza è alla portata di tutti. Eppure, oggi sembra così difficile!

Christian Albini, L’arte della misericordia