Perdono: un dono in pienezza
Il dono che giunge alla sua pienezza diventa perdono. Nel testo del Vangelo di Luca è decisivo il perdono di Dio, che già la fede di Israele considerava il “Dio dei perdoni” (cf. Ne 9,17). Per Gesù, il perdono è una sorta di imperativo, è il contrassegno dell’esistenza cristiana: quando, interrogato da Pietro, afferma che si deve perdonare settanta volte sette (cf. Mt 18,22), vuole dire che occorre perdonare sempre. E la missione che affida ai discepoli è proprio quella del perdono (cf. Gv 20,22), quel perdono che lui ha praticato in punto di morte (cf. Lc 23,34). Infatti, come lui, Stefano è morto perdonando i suoi uccisori (cf. At 7,60). “Ora comincio a essere discepolo”, scriveva Ignazio di Antiochia ai cristiani di Roma, mentre si approssimava al martirio. E, in un’altra lettera, raccomandava di pregare per i suoi persecutori. Diventava discepolo nel dono della vita e nel perdono, di cui riconosceva con realismo la fatica …
È qualcosa che va contro tutti i nostri istinti, eppure è una possibilità dell’uomo. Non è detto che si riesca a perdonare, ma può accadere. Addirittura ad Auschwitz, nei gulag, nelle carceri dell’apartheid, così come nella quotidianità dolorosa degli amori feriti. Solo dopo un lungo cammino, però, un vero e proprio lavoro interiore che può durare anni e anni.
Nell’esperienza cristiana è fondamentale la consapevolezza del perdono ricevuto, di essere in primo luogo noi stessi dei perdonati, sempre accolti da Dio. E da lui riceviamo lo Spirito che ci rende capaci di perdono. Il valore personale e sociale del perdono è nell’interruzione delle dinamiche del risentimento che impediscono comunicazione e solidarietà. Non si torna a prima dell’offesa, cosa impossibile in molti casi, ma la si può superare. Si può guarire il veleno del male e del rancore che suscita in noi … Ecco che cos’è il perdono, è il dono della pace che dà sollievo alla rabbia e al dolore per le ferite subite!
E il passo successivo è la “compassione”, la quale nella Bibbia accompagna sempre la misericordia di Dio. Egli si rivela come “misericordioso e compassionevole” (cf. Es 34,6; Sal 85,15; Sal 102,8; Sal 110,4; Sal 144,8-9; 2Cr 30,9; Gen 4,2).
Se la misericordia è il sentimento profondo dell’essere “presi nelle viscere” dall’altro, la compassione è un atteggiamento di condivisione della sua sofferenza. Infatti, secondo la sua etimologia latina, la compassione è il cum-patior, il “soffrire con” la persona che incontriamo, l’essere coinvolti nelle sue sofferenze. Tutto l’opposto di quell’anestesia sociale che ci fa passare accanto agli altri con l’indifferenza che si riserva a delle sagome di cartone. Umanamente, non sempre ci sono soluzioni e rimedi al male. Ma la compassione, il non lasciare una persona sola nella sofferenza è alla portata di tutti. Eppure, oggi sembra così difficile!
Christian Albini, L’arte della misericordia