Un amore che può cambiarci

Leggi tutto: Un amore che può cambiarciNoi possiamo passare tutta la vita a rimproverarci la nostra cattiva condotta in azioni o in parole, i nostri pensieri e i nostri sentimenti tenebrosi, e non per questo emendarci: il rimorso non è ancora pentimento. Il rimorso può fare della nostra vita un vero e proprio inferno, ma non ci fa accedere al regno dei cieli; bisogna aggiungervi un altro elemento, che si trova al cuore del pentimento, e cioè il fatto di volgerci a Dio con la speranza, con la certezza che Dio ha amore sufficiente per accordarci il perdono, e forza sufficiente per cambiarci. Il pentimento è quel tornante della vita, quella svolta nel modo di pensare, quella trasformazione del cuore, che ci fa stare faccia a faccia con Dio pieni di una speranza tremante e gioiosa, nella certezza di chi è cosciente di non meritare la misericordia di Dio, e tuttavia sa che il Signore è venuto sulla terra non per giudicare ma per salvare, che è venuto sulla terra non per i giusti ma per i peccatori.

Volgersi a Dio con speranza, chiamarlo in nostro aiuto, non è sufficiente, perché molte cose nella nostra vita dipendono da noi … Il pentimento deve essere determinato da questa speranza nell’amore di Dio, e da uno sforzo risoluto che ci costringa a condurre una vita retta e ad abbandonare gli errori del passato. Senza questo neanche Dio ci può salvare; infatti, come dice Cristo, non quelli che dicono: “Signore, Signore” entreranno nel regno dei cieli (cf. Mt 7,21), ma coloro che porteranno dei frutti. Questi frutti noi li conosciamo: sono la pace, la gioia, l’amore, la pazienza, la mitezza, tutti frutti meravigliosi (cf. Gal 5,22) che potrebbero già fin da ora fare della nostra terra un paradiso se soltanto, come alberi fertili, riuscissimo a portarli a maturazione...

La prima cosa da imparare è ad accettare tutta la nostra vita, tutti gli eventi, tutte le persone che ci sono entrate, tutto ciò che ha potuto essere a volte fonte di sofferenza. Accettare e non rigettare. Finché non accoglieremo il contenuto intero della nostra vita senza lasciare nulla da parte, come se la ricevessimo dalla mano di Dio, noi non saremo in grado di liberarci da un’angoscia interiore, da un asservimento interiore e da una ribellione interiore. Abbiamo un bel dire davanti al Signore: “O Dio, voglio fare la tua volontà!”, se poi dal fondo del nostro essere s’innalza un grido: “Ma non in questo! Non in quello...! Certo, io sono pronto ad accettare il mio prossimo, ma non quella certa persona! Sono pronto ad accettare tutto ciò che tu mi manderai, ma non quello che mi mandi nella realtà.

Se non accogliamo la nostra vita dalle mani di Dio, se non accogliamo tutto ciò che è contenuto in essa come proveniente da Dio stesso, allora la vita non ci aprirà la strada dell’eternità; continueremo a cercare senza sosta un’altra strada per l’eternità; cercheremo senza sosta un’altra via, mentre l’unica via è il Signore Gesù Cristo.

Anthony Bloom, Ritornare a Dio. Pentimento, confessione e comunione

Uomo nuovo e uomo vecchio: lotta per la libertà e la verità

Si affrontano da un lato lo spirito dell’uomo nuovo nato da Dio e unito allo Spirito santo e, dall’altro, il corpo ribelle con cui l’anima è alleata nell’uomo vecchio. In questa lotta, il vangelo pone i comandamenti e le mosse pratiche che servono a liberare lo spirito dell’uomo nuovo dal dominio del corpo alleatosi con l’anima, i quali insieme formano quell’unica entità che è l’uomo vecchio, l’uomo del peccato, delle passioni, della vanità e della falsa libertà.

Per quest’uomo la propria vita è al centro di tutto: pensiero e opera, amore e odio, mestizia e gioia, pace, timore e gloria e persino la sua devozione, tutto gira intorno a essa. Se opera, è per essere incensato. Se non è lusingato allora detesta l’agire. Se ama, è perché il suo ego ha trovato soddisfazione, gioia e onore. E se il suo ego non è a suo agio e non è onorato, allora odia perché non ha ottenuto ciò che voleva.

Si rattrista allorché viene ferito e soffre perché il suo ego ha smarrito la sua fonte di gioia. Gioisce perché ha portato a compimento la sua passione, ha ottenuto la sua gloria e il suo piacere. È in pace quando le circostanze lo fanno stare tranquillo; s’intimorisce quando perde il senso di sicurezza. Combatte, scende a compromessi, veglia e si impegna per glorificare se stesso; ozia, dorme, smette di sforzarsi e di impegnarsi se all’orizzonte non c’è alcuna gloria da ottenere. Prolunga le sue preghiere, recita salmi a menadito e si applica nelle funzioni religiose per apparire santo e religioso e ottenere l’onore che spetta a Dio. Ma se non c’è alcuno ad ascoltarlo, a guardarlo e a incensare la sua autodivinizzazione, allora ecco che smette di digiunare, accorcia le preghiere, le dice in fretta e si annoia nel recitare il canone. “Per ottenere gloria dagli uomini ... essi hanno già ricevuto il loro premio” (Mt  6,2.16) …

Così Cristo ci dipinge l’ego come il vero nemico, l’unico nemico che ostacola la salvezza dell’uomo e il suo passaggio alla vita eterna. Cristo, infatti, ci ha ordinato di amare i nostri nemici ma ci ha anche ordinato di odiare noi stessi perché egli sa che soltanto odiando se stesso l’uomo può penetrare nelle profondità dello Spirito.

Se l’ego controlla e polarizza tutta l’attività dell’uomo, sia fisica che psicologica e spirituale, nello spirito dell’uomo lo Spirito santo resta imprigionato e spento. Se l’uomo, invece, domina il corpo con le sue passioni, corregge il proprio ego e lo priva di ogni potere abbassandolo fino alla polvere, allora lo Spirito santo sarà di nuovo attivo e radiante, e lo spirito dell’uomo brillerà attraverso il buio del corpo e dell’ego. Allora potrà praticare le opere della luce, gioire della salvezza e vivere per Dio.

L’uomo può scegliere tra la libertà del corpo e dell’ego una libertà, questa, che guida l’uomo verso la corruzione, il peccato e la perdizione eterna oppure limitare, dominare e soffocare ogni libertà che porta alla corruzione e al peccato. Lo spirito sarà allora libero di sprigionarsi e di riflettere la luce. Non si può avere sia la libertà dell’ego alleato con il corpo sia la libertà dello spirito unito allo Spirito santo. Bisogna, dunque, che prima l’uomo vecchio rinunci alle sue opere corrotte e a quella libertà che porta inevitabilmente al peccato di modo che l’uomo nuovo, creato secondo Dio, possa vivere secondo Dio in santità e verità.

Matta el Meskin, La gioia della preghiera

Quaresima: liberazione dal “di più”

Leggi tutto: Quaresima: liberazione dal “di più”Un fratello venne a far visita ad abba Poimen nella seconda settimana di Quaresima, e dopo avergli rivelato i propri pensieri e aver trovato riposo, gli disse: “C’è mancato poco che mi trattenessi dal venire qui oggi”. Gli disse l’anziano: “Perché?”. Disse il fratello: “Mi sono detto: ‘Forse non mi aprirà a causa della Quaresima’”. Gli disse abba Poimen: “Non abbiamo imparato a chiudere la porta di legno, ma piuttosto quella della lingua”.

Un fratello interrogò abba Poimen dicendo: “Che cosa devo fare?”. Gli disse l’anziano: “Quando Dio ci visita, di che cosa dobbiamo preoccuparci?”. Gli disse il fratello: “Dei nostri peccati”. Gli disse l’anziano: “Allora entriamo nella nostra cella e, seduti, facciamo memoria dei nostri peccati, e il Signore si unirà a noi in tutto”.

Lo stesso abba Macario disse: “Se rimproverando qualcuno ti lasci trascinare all’ira, soddisfi una tua passione. Per salvare un altro, infatti, non devi perdere te stesso”.

Disse ancora: “È meglio mangiare carne e bere vino piuttosto che divorare con la maldicenza le carni dei fratelli!”.

Un anziano disse: “Ricchezza dell’anima è la temperanza. Acquistiamola con un pensiero umile, fuggendo la vanagloria, che è la madre dei vizi”.

Un anziano disse: “Nessuno senza fatica acquisisce la virtù; e se anche riesce ad acquisirla, non può custodirla in sé. È infatti a coloro che sono in lutto e hanno fame che è stato promesso il regno dei cieli (cf. Mt 5,3-4.6)”.

Un anziano disse: “Digiuna con senno e diligenza. Bada che il Nemico non minacci il guadagno del tuo digiuno. E credo forse che sia proprio per questo che il Salvatore ha detto: ‘Diventate abili cambiavalute!’, cioè riconoscete con precisione l’impronta del re. Ci sono infatti delle false impronte. La natura dell’oro è la stessa, ma la differenza sta nell’impronta. L’oro è il digiuno, la temperanza è l’elemosina; ma i pagani hanno impresso la loro immagine abusiva su tali pratiche, e tutti gli eretici si vantano di esse. Bisogna riconoscerli ed evitarli come falsificatori. Bada dunque di non subire qualche perdita incappando in loro senza esserti esercitato. Accogli con sicurezza la croce del Signore impressa attraverso le virtù, cioè una fede retta unita ad azioni sante”.

I padri del deserto, Detti. Collezione sistematica

Silenzio: comunicare altrimenti

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Il silenzio non è assenza di comunicazione, ma un altro modo di dire, di comunicare, e per questo rimane in una irrinunciabile correlazione con la parola. Il silenzio non è l’opposto della parola, ma è il contesto in cui la parola si iscrive, ciò che la contiene, appunto. È, per utilizzare un’immagine, il foglio bianco su cui la parola si staglia e che dà spessore al colore della parola. C’è tra la parola e il silenzio un doppio rapporto che li vivifica entrambi: si passa continuamente dal silenzio alla parola e dalla parola al silenzio. Essi si custodiscono a vicenda: il silenzio precede e segue la parola; esso è sempre “al di là della parola o in attesa della parola, ma comunque in relazione dialettica con la parola stessa”.

Innanzitutto il silenzio è ciò che genera la vera parola, è come il primo atto della comunicazione. Il silenzio, poi, custodisce e dà spessore alla parola. È un’occasione di interiorizzazione, insegna ad amare la parola detta o che vorremmo dire, “insegna ad amare la parola pensata”. Infine, il silenzio ricorda che la parola umana resta comunque limitata: non tutto può essere detto, e a volte non si può che tacere.

Il rapporto è però reciproco: se la parola ha bisogno del silenzio, anche quest’ultimo ha bisogno della parola. La fecondità del silenzio, la sua efficacia, è nella sua capacità di fare spazio alla parola che lui stesso poi deve portare e spiegare. Se il silenzio non si fa attenzione, tensione verso la parola, accoglienza, rischia di trasformarsi presto in luogo sterile. Tra il silenzio e la parola si deve instaurare una sorta di antagonismo, in cui nessuno dei due deve prevalere sull’altro e, istante dopo istante, sarà necessario chiedersi a chi dei due tocca, in quel frangente, avere la meglio, secondo quella regola aurea che Gregorio di Nazianzo ci offre laddove dice: “Parla solo se hai da dire qualcosa che valga più del silenzio”. E un detto della tradizione sufi sembra fargli eco: “Se la parola che stai per pronunciare non è più bella del silenzio, non dirla”.

Il prodigio del silenzio è giungere a parlare tacendo, a essere espressivi senza usare le parole, ad avere una vita silenziosamente eloquente … Il silenzio è un modo diverso di comunicare e, più in profondità, un modo diverso di essere... e di vivere. I padri del deserto l’avevano ben compreso quando consideravano il silenzio una forma di estraneamento. Il silenzio è quel linguaggio per cui, in un incontro, uno sguardo potrà bastare a dire ciò che le parole non possono più dire. È l’esperienza degli innamorati o degli amici.

Il silenzio affina lo sguardo e rende eloquenti i volti. Questi si fanno un invito costante rivolto all’altro perché venga a noi e dimori presso di noi; esprimono desiderio e attesa dell’incontro.

Il silenzio è in definitiva uno scambio di presenze, anziché di parole. Nulla più di uno sguardo o di un gesto silenzioso a volte sa narrare l’amore per una persona. Ricordiamo anche l’episodio dell’unzione di Betania (cf. Mc 14,3-9), dove una donna, senza proferire parola, si avvicina a Gesù e gli unge il capo di olio profumato. I discepoli parlano e protestano contro di lei, e anche Gesù parla per difenderla; la donna, invece, non dice una parola, neppure per difendersi dalle accuse: il suo gesto è più che eloquente, e non è possibile dire di più, neppure per spiegarsi di fronte a chi non l’abbia compreso... Essendo un linguaggio discreto, infatti, il silenzio a volte ingenera il timore che esso non venga compreso, che sia inefficace. Ma si tratta di una paura infondata, poiché ciò che è vero, anche se discreto, prima o poi è compreso. Se il linguaggio che usiamo ha in sé vita, anche se silenziosa, questa a suo tempo si rivelerà.

Il silenzio autentico è in definitiva un altro linguaggio; non è vuoto, incapacità di parlare o rifiuto; tutt’altro! Esso è abitato da una parola viva e vivace, che attende di essere detta, ma in altro modo; per questo, il silenzio vero è pregno di attenzione, di tensione e di accoglienza.

Sabino Chialà, Silenzi. Ombre e luci del tacere

Mi hai creato: non lasciare che vada perduto!

Due cose riconosco in me, Signore:Leggi tutto: Mi hai creato: non lasciare che vada perduto!
la natura, che tu hai creato,
il peccato che io vi ho aggiunto.
Riconosco che con la colpa ho deformato la natura,
ma ricordati che sono un soffio che va
e non ritorna (Sal  78,39).

Da me stesso, infatti, non posso retrocedere dal peccato.
Orsù, togli da me quello che ho fatto io,
rimanga in me quello che hai fatto tu,
così che non perisca
quello che hai redento con il tuo sangue,
e non perda la mia malizia
quello che ha redento la tua bontà.

Signore, Dio mio, se ho operato così da essere un reo per te,
perché non sono riuscito a fare
ciò per cui sarei un servo per te?
Se dunque ho perso la mia innocenza,
forse che per questo ho perso la tua misericordia?
Se ho commesso ciò per cui potresti condannarmi,
forse che tu hai perduto
ciò per cui mi puoi salvare? (cf. Gb  9,28 Vulg.).

È vero, Signore. La mia coscienza merita la condanna,
ma la tua misericordia supera ogni offesa
.

Perdonami, dunque,
poichè per la tua potenza non è difficile,
per la tua giustizia non è sconveniente,
per la tua clemenza non è insolito
perdonare chi commette il male.
Poiché mi hai creato non lasciare che mi perda,
poiché mi hai redento non condannarmi.
Poiché mi hai creato nella tua bontà,
non perisca la tua opera a causa della mia iniquità.

Riconosci in me ciò che è tuo,
e togli da me quello che è mio.
Guarda a me infelice,
tu che sei tenerezza immensa,
a me che sono scellerato,
tu che sei misericordia universale.

Infermo, mi rivolgo all’onnipotente,
ferito, corro dal medico.
Conservami la dolcezza della compassione,
tu che alla fine hai sospeso la spada della vendetta.

Cancella il gran numero dei miei peccati,
rinnova la moltitudine delle tue misericordie
.
Benché io sia immondo, tu puoi mondarmi,
benché io sia cieco, tu puoi illuminarmi,
benché io sia malato, tu puoi guarirmi,
benché io sia come morto tu puoi risuscitarmi.
Comunque sia, buono o cattivo, sono sempre tuo.

Se tu mi scacci chi mi accoglierà?
Se tu mi disprezzi chi volgerà su di me lo sguardo?
Tu puoi rimettere più di quanto io possa commettere,
puoi perdonare più di quanto io possa peccare
.

Non mi opprima un piacere nocivo,
almeno non mi opprima un’abitudine perversa.
Preservami da desideri illeciti e cattivi,
da pensieri vani, dannosi, impuri,
dalle fantasie di spiriti maligni,
dalle sozzure della mente e del corpo.

Lancelot Andrewes, Una guida per la preghiera. Preces privatae

Pacomio: servo della volontà di Dio

Leggi tutto: Pacomio: servo della volontà di DioPoi, dopo la persecuzione, diventò imperatore il grande Costantino, ed essendo egli in guerra contro un usurpatore, ordinò di radunare molte reclute. Fu così reclutato anche Pacomio, che allora aveva circa vent’anni. Mentre le reclute discendevano il corso [del Nilo], i soldati che le avevano in custodia attraccarono alla città di Tebe e la le chiusero in prigione. A sera, poi, dei cristiani misericordiosi che avevano saputo la cosa portarono loro da mangiare e da bere e altri aiuti necessari, poiché erano nella tribolazione. Il giovane, chieste spiegazioni al riguardo, apprese che i cristiani sono misericordiosi verso gli stranieri e verso tutti. Allora di nuovo chiese che cosa fosse un cristiano; e gli dissero: “Sono uomini che portano il nome di Cristo, l’unigenito Figlio di Dio (cf.  Gv 3,16.18), e fanno ogni bene a tutti, perché sperano in colui che ha fatto il cielo e la terra e noi uomini”.

Appena sentì parlare di una grazia così grande, il suo cuore fu infiammato dal timore di Dio e dalla gioia. Allora, ritiratosi in disparte nella prigione, levò le mani al cielo per pregare e disse: “O Dio, Creatore del cielo e della terra, se davvero volgerai lo sguardo sulla mia piccolezza (1Sam  1,11; Lc  1,48), anche se io non conosco te, l’unico vero Dio (Gv  17,3), e mi libererai da questa tribolazione, io servirò la tua volontà tutti i giorni della mia vita e amando tutti gli uomini (cf. Lc  6,27.35) li servirò secondo il tuo comandamento (cf. Mt  19,19; 22,39; Mc  10,44)”.

Dopo aver pronunciato questa preghiera, si imbarcò con gli altri; e sebbene spesso nelle città i compagni lo importunassero per indurlo ai piaceri mondani o ad altre azioni disordinate, egli li respingeva attraverso il ricordo della grazia di Dio che aveva ricevuto: già dalla sua infanzia, del resto, amava molto la purezza.

Quando le reclute furono congedate, Pacomio, messosi in viaggio verso l’Alta Tebaide, giunse alla chiesa di un villaggio chiamato Chenoboscia; e dopo aver ricevuto l’istruzione, fu battezzato … Mosso ormai dall’amore di Dio, cercò il modo di diventare monaco. Allora gli fu indicato un anacoreta di nome Palamone, ed egli si recò da lui per ritirarsi con lui a vita solitaria. Giunto là, bussò alla porta e l’anziano, affacciandosi dall’alto, gli disse: “Che cosa vuoi?”. Ed egli rispose: “Ti prego, padre, fa’ di me un monaco!”. E quello gli disse: “Non ne sei capace: non è cosa da poco quest’opera di Dio: molti infatti sono venuti e non sono riusciti a sostenerla”. Gli disse Pacomio: “Mettimi alla prova in questo e poi vedi”. E l’anziano gli rispose: “Esaminati prima da solo per un po’ di tempo e poi torna qui. La mia ascesi infatti è dura. All’udire queste parole dell’anziano, il giovane si sentì ancor più rafforzato nello spirito per sopportare ogni genere di fatica insieme a lui. E gli disse: “Confido che con l’aiuto di Dio e con le tue preghiere riuscirò a sopportare tutto ciò che hai detto”. Allora, aperta la porta, l’anziano lo fece entrare e lo rivestì dell’abito dei monaci. E così, tutti e due insieme, praticavano l’ascesi e si dedicavano alle preghiere.

Pacomio, servo di Dio e degli uomini
Fonti greche sulla vita di Pacomio e dei suoi discepoli

La terra: un dono da custodire

Leggi tutto: La terra: un dono da custodireQuesto pianeta è un organismo che dona vita, e che è più che abbondante per quanti conoscono e praticano la moderazione.

La terra e l’umanità sono create e destinate a esistere in una relazione reciproca di rispetto e armonia. Questa però non è la realtà che oggi sperimentiamo. Poiché l’avidità domina le nostre comunità, il consumo cresce al di là di ciò che la terra ha la possibilità di sostenere. In altre parole, gli avidi depredano più risorse di quante la terra sia in grado di rinnovare. Possedere la terra in questa maniera egoistica significa privarla delle sue proprietà di vita ed esporre a una grave minaccia il resto della creazione. Poiché la terra è controllata dai pochi, i più vengono costantemente sfollati, spinti a emigrare e forzati ad affrontare l’estenuante disuguaglianza di reddito, la povertà e la fame. Perché allora ci ostiniamo a percorrere questa via autodistruttiva? Siamo così testardi da scegliere di non comprendere? Siamo così soddisfatti da ignorare le conseguenze del nostro stile di vita? Siamo così ignari da rimanere indifferenti?

Cerchiamo di essere uniti – nella solidarietà, nella determinazione, nel prendere le decisioni – per guidare il nostro mondo verso una visione più solidale e un’umanità più compassionevole …

Non possiamo separare la nostra preoccupazione per la dignità umana, per i diritti umani o per la giustizia sociale da quella per la custodia e la sostenibilità ecologica. Queste preoccupazioni sono saldate insieme, intrecciate in una spirale che può procedere in senso discendente o ascendente. Se apprezziamo ogni individuo creato “a immagine di Dio”, e se apprezziamo ogni particella della creazione di Dio, allora possiamo prenderci cura gli uni degli altri e del nostro mondo. In termini religiosi, la relazione che abbiamo con la natura riflette direttamente la relazione che abbiamo con Dio e con i nostri compagni di umanità, come anche la relazione che abbiamo con la biodiversità della natura.

In gioco non c’è unicamente il nostro rispetto per la biodiversità, ma la nostra stessa sopravvivenza. Gli scienziati prevedono che in futuro i più danneggiati dal riscaldamento globale saranno i più vulnerabili e i più marginalizzati … La crisi ecologica è direttamente collegata alla sfida per debellare la povertà e per difendere i diritti umani

La scelta è nostra! Ci troviamo in un momento critico nella storia e nel futuro del nostro pianeta, un tempo in cui la nostra famiglia umana deve decidere il futuro per la nostra comunità terrestre. La protezione della vitalità e della diversità del nostro pianeta è un compito sacro e una vocazione comune a tutti.

Bartholomeos I,
arcivescovo di Costantinopoli e patriarca ecumenico, Nostra madre terra