Natale: un tesoro è nato per noi

Leggi tutto: Natale: un tesoro è nato per noi

Che cosa possiamo offrirti in dono? Che cosa ti offriremo, o Cristo nostro Dio, per essere apparso sulla terra assumendo la nostra stessa umanità? Ognuna delle creature plasmate dalle tue mani ti offre qualcosa per renderti grazie: gli angeli ti offrono il loro canto (cf. Lc 2,13-14), i cieli la stella (cf.Mt 2,2), i magi i loro doni (cf. Mt 2,11), i pastori lo stupore (cf. Lc 2,18), la terra la grotta, il deserto la mangiatoia (cf. Lc 2,7). Ma noi ti offriamo una madre vergine. Tu che sei Dio prima dei secoli, abbi pietà di noi.

Liturgia bizantina (Vespro della vigilia di Natale), in Vieni sulla nostra strada. Preghiere a Cristo

Cristo, punto radiante di gloria,
immagine del Padre invisibile, Dio nostro,
nunzio dell’eterno disegno, principe della pace,
padre delle generazioni future.

Per causa nostra si è fatto simile allo schiavo,
diventando carne nel seno della vergine Maria,
senza l’opera dell’uomo;
per noi deposto, costretto entro fasce, in una mangiatoia,
adorato dai pastori e osannato dalle potenze angeliche,
che cantavano:

“Gloria a Dio nei cieli
e sulla terra pace e bene agli uomini”.
Rendici degni, Signore, di celebrare e chiudere in pace
la festa che magnifica il sorgere della tua luce,
evitando vane parole, operando con giustizia,
fuggendo le passioni ed elevando lo spirito
al di sopra dei beni della terra.

Benedici la tua chiesa, che hai formato da lungo tempo
per unirla a te con il tuo sangue vivente.
Vieni in aiuto dei pastori fedeli,
dei presbiteri e dei dottori.

Benedici i tuoi servi
che attendono tutto dalla tua misericordia;
le anime cristiane, gli ammalati,
quelli che sono tormentati nello spirito
e quelli che ci hanno chiesto di pregare per loro.

Abbi pietà nella infinita tua clemenza
e conservaci degni dei beni futuri e senza fine.
Noi celebriamo la tua nascita gloriosa,
con il Padre che ti ha mandato per la nostra redenzione,
con lo Spirito vivificante,
ora e sempre per tutti i secoli.

Amen.

Liturgia siriaca (Preghiera di Natale), in Vieni sulla nostra strada. Preghiere a Cristo

Oggi un tesoro è nato per noi.
Oggi è apparsa per noi la vera luce, la lampada della Vergine, accesa dallo Spirito santo.
Oggi è nato il medico dei ciechi.
Oggi è nata la guarigione dei paralitici.
Oggi è nata la forza dei malati, la potenza degli infermi.
Oggi è venuta la resurrezione dei morti, nostro Salvatore.
Oggi è apparsa per noi, nella notte splendente, la luce nuova.
Oggi è venuto il Salvatore di cui i profeti avevano annunciato
che sarebbe nato dalla Vergine.
Oggi è manifestato per noi, disteso in una mangiatoia,
il pane eterno che dà la luce colui che ha detto:
“Io sono il pane vivo disceso dal cielo; se qualcuno
mangia di questo pane non avrà più fame in eterno” (Gv 6,51).
Per la gloria della tua nascita, concedici, Signore,
la liberazione dai nostri mali e la gioia di cantare sempre le tue lodi.

Liturgia mozarabica (Sacramentari, v-vi secolo), in Vieni sulla nostra strada. Preghiere a Cristo



Natale, alleanza d’amore tra Dio e gli uomini

Leggi tutto: Natale, alleanza d’amore tra Dio e gli uominiMalgrado la grotta fosse così buia e così umile, sappiamo come gli angeli, accompagnati da una moltitudine dell’esercito celeste, immersi nella luce che da essa emanava, intonavano in cielo il cantico di gloria a quel Dio che, nella sua straordinaria umiltà, ha elevato l’uomo alla sua altezza. Così vediamo come Cristo, mentre era ancora un piccolo neonato nella culla, sia riuscito ad allargare la sfera della sua nascita e la portata della sua incarnazione. Guardate come sia riuscito a raccogliere intorno a sé, nelle sue prime ore di vita, i saggi venuti dalla lontanissima Persia e i poveri pastori, che nel freddo inverno palestinese trovarono riposo e consolazione.

Da allora, attraverso le immagini della sua umiltà che sono rimaste impresse nei cuori di coloro che lo amano, Cristo non ha smesso di attirare milioni di persone, generazione dopo generazione, per comporre il suo grande corpo che presenterà, a suo tempo, a Dio suo Padre. Cristo non è nato senza difficoltà, pianti e sofferenze. Nacque in inverno, nella stagione in cui la natura è più dura. Fu come se, nascendo, Cristo fosse già stato crocifisso dalla natura trovando come luogo dove far riposare il suo corpo fragile e tenero solo un mucchietto di paglia ruvida in una mangiatoia fatta di fango …

La nascita di Cristo è un enorme avvenimento divino che ha abbracciato la terra e tutte le generazioni degli uomini. Esso è capace non solo di svegliare chi dorme rispetto alla ricerca della salvezza ma anche di risuscitare i morti putrefatti nei loro peccati! La nascita di Cristo è la testimonianza più forte ed eloquente di quanto Dio abbia amato l’uomo. Lo ha amato di un amore personale. È per questo che ha preso un corpo umano al quale si è unito e l’ha fatto suo proprio per sempre. La nascita di Cristo è essa stessa un’“alleanza d’amore” stipulata per sempre tra Dio e l’uomo. Dio si è impegnato a Betlemme nel corpo da lui assunto, che non abbandonerà mai, in un’unione con noi che supera ogni comprensione e ogni logica. È un’alleanza che sancisce la grande riconciliazione e l’unione indissolubile tra divino e umano. Con questa nascita divina e verginale è stata inaugurata un’era di intimità e di affetto straordinaria tra Dio e ogni singolo uomo. Dio ne ha parlato un giorno, rivolgendosi a Cristo come se, in lui, si rivolgesse all’umanità intera, a ogni uomo: “Tu sei il mio Figlio, l’amato, nel quale mi sono compiaciuto” (Mc 1,11).

La nascita di Cristo è, dunque, un’alleanza d’amore stipulata da Dio con ogni uomo, un attestato di un incredibile abbassamento sottoscritto da Dio a Betlemme, nella persona di Gesù Cristo. In lui, Dio è disposto ad abbassarsi tutte le volte chiamando l’uomo all’amore e all’unione con lui. Nascendo, Cristo non ha offerto un modello temporaneo di amore che unì Dio a noi a Betlemme e che sarebbe finito con il compiersi del Natale. Si tratta, invece, di uno spazio divino aperto, illimitatamente, a tutti gli uomini e che non smetterà di restare aperto fino a che “tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato … perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv 17,21.26).

 Matta el Meskin, L’umanita di Dio. Meditazioni sull’incarnazione

L’umanità intera diviene madre

Leggi tutto: L’umanità intera diviene madre

Alla vergine Maria è stato consegnato per prima il mistero del Natale. Per noi, la Vergine rappresenta un modello straordinario di ciò che significa la vocazione. Dio la scelse per santificarla e lei accolse la vocazione alla santità e alla pienezza. Dio non scelse la Vergine perché era santa o la donna più pura della terra, ma perché lo diventasse. Quando accolse la vocazione, si compì per lei tutto ciò che Dio le aveva promesso. In Cristo, tutta l’umanità è diventata una vergine fidanzata per essere il corpo di Dio, il tempio in cui egli dimora. Noi, oggi, siamo scelti come un tempo lo fu la vergine Maria. Dobbiamo semplicemente accogliere l’invito, credere e dire come lei: “Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Se l’umanità rispondesse alla voce di Dio come fece la Vergine, concepirebbe e partorirebbe Cristo per fede. L’umanità intera sarebbe una madre, non una serva, per Cristo, e Cristo, il Figlio di Dio, diventerebbe un suo figlio perché si è compiaciuto di essere figlio di tutta l’umanità, Figlio dell’uomo. La vergine Maria, quando credette a quanto le era stato detto, accogliendo la vocazione, accolse anche il Verbo di Dio. Il Verbo di Dio stesso è offerto a tutti. Chi lo accoglie ne viene santificato, Cristo si unisce a lui. Con Cristo diventa figlio di Dio, nato da Dio, dallo Spirito santo, nel corpo e dal corpo puro di Cristo.

La nascita di Cristo non deve restare esterna all’uomo. Deve invece assolutamente penetrare nel cuore, nello spirito, nei sentimenti e in tutte le nostre membra. Cristo deve abitare per la fede nei nostri cuori (cf. Ef 3,17), colmando i nostri sentimenti, le nostre emozioni, la nostra memoria, la nostra consapevolezza e perfino il nostro inconscio, così che possiamo giungere alla verità del Natale, cioè all’unione del Figlio di Dio con la nostra carne. Quando meditiamo con amore sul Natale, quando ne facciamo memoria, quando lo contempliamo come qualcosa che ci riguarda personalmente, scopriamo che esso è la prima e più grande opera gratuita di misericordia che Dio ha realizzato nelle viscere dell’essere umano. Sperimentiamo la nascita di Cristo dentro di noi, la nascita della verità divina, della luce, della vista spirituale, del travolgente amore divino, la nascita della purezza, della santità, del timore di Dio che scaccia ogni orgoglio, ogni arroganza, ogni autoreferenzialità.

Quando nel nostro uomo interiore sorge il volto luminoso di Cristo, pieno di tenerezza, mitezza e umiltà, allora tutto il nostro orgoglio, tutta la nostra codardia, tutta la nostra ipocrisia vanno in fumo e il nostro silenzioso grido di dolore si placa. Allora soltanto conosceremo e capiremo il senso del Natale in noi gustando, nelle nostre viscere e nella nostra vita, la forza e la santità dell’incarnazione di Dio. Anche il nostro parlare e il nostro tacere ne usciranno trasformati.

L’esperienza di portare il Cristo in grembo è l’esperienza della pienezza umana con la quale viviamo continuamente in Dio, uniti con lui, rapiti dall’amore divino, in un’unione talamica misteriosa ed eterna che né la morte può dissolvere ne il pensiero può scuotere.

 Matta el Meskin,L’umanita di Dio. Meditazioni sull’incarnazione

Il Verbo: solidale con l’umanità

Leggi tutto: Il Verbo: solidale con l’umanitàIl Verbo incarnato “volle essere partecipe della solidarietà umana” (Gaudium et spes 32). Ma come vi è entrato se non per la porta della storia comune? Non mediante il solo gioco di attività liberamente consentite, bensì per la costrizione di una nascita che lo assegnava a prendere posto nella catena delle generazioni.

Il concilio ha visto bene che, per interessare alla persona di Gesù degli uomini divenuti maggiorenni e soggetti della propria storia, doveva mostrare loro fino a che punto egli era legato, non soltanto alla natura degli uomini, ma anche alla loro storia. Il concilio, infatti, non ha pensato che non si entra nella storia dal di fuori, per un atto di benevolenza, ma che si diventa uomini per il fatto stesso di dovere la propria origine a una storia che ci ha fatto nascere al mondo degli uomini. La storicità è la condizione nativa della persona umana allo stesso titolo che la temporalità è inerente alla sua natura intesa come “essere nel mondo”. La storia si riceve passivamente come un’eredità prima di essere liberamente assunta e per poterlo essere come un compito da realizzare. Si è fatti solidali, nel bene e nel male, della storia che ci precede prima di divenire solidali di quella che noi lavoriamo a costruire con coloro che portano il medesimo giogo. Insomma, la solidarietà si prescrive, non si inventa.

Il discorso della solidarietà ha bisogno, nel caso di Gesù, di attingere risorse dal racconto della sua genealogia che fa discendere la sua filiazione divina, come una vocazione da onorare, dalla catena delle generazioni al termine delle quali egli è riconosciuto, quando si risale la catena dal basso verso l’alto, “figlio di Adamo, figlio di Dio” (Lc 3,38). E tuttavia non c’è altro mezzo per rendere pensabile la solidarietà di Gesù con la storia umana se non quello di riconoscere che egli era tenuto a pagare un tributo alla nostra vecchia storia. La solidarietà del Figlio di Dio con noi – la sua kenosi – non consiste nell’umiliarsi fino a portare un destino al quale non sarebbe stato tenuto per necessità di nascita, essa non può emergere che dal medesimo humus dal quale emergono tutti i suoi fratelli di stirpe.

Il Figlio di Dio, venendo da Dio a noi “nella pienezza dei tempi”, era dovuto passare anche lui attraverso le vie della storia. Il Vaticano II fa apparire nuove esigenze dell’incarnazione dalla parte del tempo umano. Il Figlio inaugura la propria kenosi non spogliandosi ma caricandosi di legami che nessuno può portare se non vi è incatenato in anticipo dal destino. Il nuovo Adamo non può non nascere carico dei secoli del vecchio Adamo, come narra la sua genealogia. Il discorso della solidarietà rinvia la cristologia al racconto dell’umanità di Gesù prima di poter celebrare la sua origine eterna.

Joseph Moingt, L’umanesimo evangelico

Amore: senso dell'esistenza

Leggi tutto: Amore: senso dell'esistenzaChi non si sente amato, non sa amare. Chi non crede all’amore, vuole contare solo su se stesso, essere autosufficiente. Vive l’amore solo in funzione del proprio io, non riesce a rinnovarlo, a radicarlo. Vive un amore senza radici e sugli altri ha uno sguardo gelido, di giudizio. Fondamentalmente non riesce a essere felice e a dare felicità. Accettare di essere amati è molto più difficile di quel che crediamo, perché sotto sotto conosciamo la nostra miseria e non riusciamo ad accettare che qualcuno ci ami come siamo veramente. Noi stessi fatichiamo ad amarci davvero.

Essere amati è un’esperienza di perdono. Ecco perché papa Francesco, nell’omelia del 13 marzo 2015, ha detto che il giubileo consiste nel fatto che la chiesa deve innanzitutto riconoscersi perdonata. Siamo peccatori perdonati. Altrimenti la nostra misericordia è una forma di paternalismo.

La misericordia, possiamo dire, è la parola chiave del pontificato di Francesco, come un filo rosso che attraversa e collega i suoi discorsi, le sue omelie e i suoi gesti. Il papa con le parole e con il suo atteggiamento vuole mostrare al mondo il Dio di Gesù Cristo. E in realtà è proprio questo l’intimo significato del giubileo della misericordia che va al cuore della crisi di fede di un mondo che rischia di smarrire il volto di Dio, il quale a molti appare distante, freddo, o comunque sbiadito, a volte proprio a partire dall’idea di un “giudizio” inteso in senso inquisitorio e punitivo. L’altro aspetto rilevante dell’anno giubilare è di sostenere e incoraggiare la chiesa nella sua “missione di portare a ogni persona il vangelo della misericordia”.

Papa Francesco esprime così il punto centrale, il cuore del messaggio del giubileo: “Nessuno può essere escluso dalla misericordia di Dio. Tutti conoscono la strada per accedervi, e la chiesa è la casa che tutti accoglie e nessuno rifiuta. Le sue porte rimangono spalancate, perché quanti sono toccati dalla grazia possano trovare la certezza del perdono”.

Che cosa è significativo, nel cristianesimo, per l’uomo di oggi? Che cosa può essere attraente? Non certo la pretesa di un’autorità religiosa di dettare norme e giudizi sulla vita e sull’intimità delle persone. Essa verrebbe percepita come la pretesa di esercitare un potere e un controllo. Si sottomettono ciecamente a un’autorità le persone in fuga dalla libertà, le quali reprimono se stesse pur di trovare rifugio dalle proprie paure e insicurezze. Non è la volontà di Gesù, il quale non è venuto per essere servito, ma per servire (cf. Mc 10,45) e vuole che nessuno perda o rovini se stesso, la propria vita (cf. Mt 16,24-27; Mc 8,34-38; Lc 9,23-26).

Il cristianesimo non riguarda un premio nell’aldilà da guadagnare per un’anima disincarnata; è il cammino verso una vita piena, sfuggendo a una vita vuota, fin da ora, verso un modo migliore di vivere nel mondo già oggi. E questa pienezza, secondo il vangelo, si trova solo nell’amore ed è solo l’amore vissuto, sperimentato, che ce lo fa comprendere. È l’amore come senso dell’esistenza. Anche la chiesa, soprattutto oggi, viene riconosciuta come autorità solo se è autorevole e credibile nel testimoniare l’amore.

 Christian Albini, L’arte della misericordia

Fine e venuta

Leggi tutto: Fine e venutaL’Antico Testamento prepara la via a Cristo, rappresentandolo nel tempo e nella scena della storia tramite delle “figure”. Prima di trovare in lui il loro compimento, gli eventi storici erano in fondo una profezia che indicava in modo specifico Cristo. Le profezie denunciavano costantemente l’ingannevole rivestimento esterno che velava la verità del Regno del Messia veniente, il Regno di grazia e verità, spirito e vita, fino a quando questo si è mostrato definitivamente e noi lo abbiamo visto e lo abbiamo toccato con le nostre mani nella Parola di Vita, Gesù Cristo, il quale è Spirito di profezia. Cristo era ed è il perno attorno al quale l’intera Torà e la totalità della storia dell’umana salvezza si decide. Tra le immagini più belle del Messia di Israele, vi è forse la visione di Daniele del Messia quale Figlio dell’uomo. In essa il Messia di Israele, centro della salvezza, del regno e della gloria di Israele, diventa immagine del Messia dell’intera umanità, che abbraccia la totalità della creazione umana e diventa il centro di una salvezza, di una gloria e di un regno che trascendono la realtà di questo mondo: “Guardando nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno simile a un figlio di uomo … tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno ... e il suo regno non sarà mai distrutto” (Dn 7,13-14). Questa verità era uno degli aspetti più eminenti dell’insegnamento dei rabbini e dei maestri ispirati di Israele nel periodo precedente la nascita di Cristo. Essi insistevano che non c’era profezia alcuna al di fuori del Messia. “Tutti i profeti profetizzarono solo riguardo ai giorni del Messia”. “Il mondo intero fu creato per il Messia”. È la stessa verità che fonda gli scritti del Nuovo Testamento. Cristo stesso la conferma come un fatto degno della massima attenzione: “E cominciando daMosè e da tutti i Profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24,27). Ecco il fondamento della fede impressa nella mente della chiesa primitiva. “Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui” (Col 1,16-17).

Il culto giudaico però si allontanò dal vero significato messianico che aveva nell’intenzione divina. Le Scritture e le profezie non furono più interpretate nel loro significato essenziale; invece di convergere nella persona del Messia che doveva venire quale Salvatore del mondo attraverso Israele, furono comprese come una descrizione di un Messia che sarebbe venuto come padrone del mondo, strumento per restaurare la gloria del popolo di Israele. Così, non appena Cristo fece la sua comparsa in pubblico, scoppiò un conflitto tra lui e i capi dei giudei: nonostante il suo insegnamento fosse di origine divina, quanto più la sua predicazione ignorava lo scrupoloso attaccamento agli insignificanti dettagli della legge, le purificazioni e gli eccessi di religiosità, la gloria mondana e la supremazia di Israele, tanto più Cristo veniva respinto dai sacerdoti, dai dottori della legge e dalle frange zelote del popolo. Tuttavia, questo offuscamento del significato essenziale della fede nel Messia all’interno dei gruppi dei sacerdoti, degli scribi, dei farisei e dei sadducei non era generale. Rimaneva una parte del popolo di Israele che seppe conservare ancora lo spirito autentico del culto e aderire alle fedeli promesse di Dio. Questo resto di uomini pii anelava con fede ardente alla venuta del Messia, poiché lo avevano intravisto nello studio dei profeti e dei maestri di Israele. Il Nuovo Testamento, nelle prime pagine degli evangeli, ci dà alcuni esempi di questi credenti: il vecchio Simeone, la profetessa Anna, il sacerdote Zaccaria, Elisabetta e la santa vergine Maria.

 Matta el Meskin, Comunione nell'amore

Salvezza. Amicizia di Gesù per noi

Leggi tutto: Salvezza. Amicizia di Gesù per noiTorniamo alla nostra domanda: che cos’e la salvezza? È il Cristo, il Signore dell’universo; è quindi in lui che tutto l’universo, dal più grande fra i nati da donna all’ultimo filo d’erba o granello di sabbia, trova vita e ragion d’essere. Ma solo la comunità dei credenti in lui, la chiesa, lo sa; solo essa ne può essere testimone, ma lo sarà nella misura in cui lo segue sulla sua via, la quale finisce sulla croce. Ecco ciò che Zaccheo ha vissuto nell’incontro con Gesù: si è reso povero, perché aveva trovato la sua ragion d’essere non più nelle ricchezze che cercava di moltiplicare all’infinito, ma nello sguardo posto su di lui da Gesù. In questo modo Zaccheo ha potuto anticipare il momento della salvezza che Dio riserva per tutta la sua creazione. La salvezza è l’amore con il quale Dio ci ama in Gesù Cristo, che fa di noi dei figli di Abramo, e più ancora dei figli di Dio. La nostra missione, in quanto chiesa, consiste nel proclamare Gesù proprio attraverso una vita di spoliazione, di umiltà e di povertà che indichi, per via negativa, dove sta la nostra ragione di vivere (e anche di morire) e il fondamento della nostra gioia, perché anche gli altri possano anticipare questa salvezza e viverne già ora.

La salvezza però incontra ostacoli. Nel caso di Zaccheo: la sua piccola statura e la folla. Ambedue impediscono a Zaccheo di vedere Gesù. Il primo attiene alla sua natura: se fosse più grande, se dominasse in altezza tutti gli altri, lo potrebbe vedere. Il secondo dipende dagli altri, che formano come un muro tra Zaccheo e Gesù. Anche nel nostro caso incontriamo due tipi di ostacoli. Il primo dipende da noi: è il nostro peccato; il secondo dipende dalla società e da altri fattori indipendenti da noi: i nostri impegni, il nostro lavoro, ciò che gli altri si aspettano da noi, magari anche la stessa comunità alla quale apparteniamo. Se Zaccheo ha saputo superare questi due ostacoli, anche noi li possiamo superare, ma allo stesso prezzo di quello pagato dal pubblicano di Gerico: rinunciare all’immagine che ci facciamo di noi stessi. Salendo sul sicomoro, Zaccheo si è fatto come bambino, lasciando perdere la sua dignità e il suo rango. Così per vincere il nostro peccato dobbiamo umiliarci e riconoscere il peccato commesso. Allo stesso modo, per vincere l’ostacolo costituito dagli altri, è necessario rinunciare allo spirito di competitività, al paragonarci con gli altri, al voler essere migliori degli altri, al giudicarli …

Ma l’importante non è nemmeno questo: il Cristo riesce a superare tutti questi ostacoli, persino le nostre durezze, perché, come già detto, anche se Zaccheo non avesse fatto nulla, Gesù lo avrebbe trovato, perché doveva entrare e dimorare in casa di lui, perché “il figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (v. 10). E allora la salvezza, alla fine, non è altro che l’amicizia di Cristo nei nostri confronti. Dio non cesserà di cercarci finché il Cristo non sarà pervenuto, fosse al prezzo della croce, a entrare in noi per immettere nei nostri corpi e nei nostri cuori le energie della sua vita divina. E la prova della riuscita di Cristo sarà la nostra capacità – capacità data anch’essa da Cristo – di vincere in noi il peccato, di accogliere gli altri come fratelli e sorelle, di vivere insieme a loro nella gioia dell’amore fraterno. In questo modo, in Cristo, Dio sarà riuscito a far entrare il cammello – e persino l’elefante – per la cruna dell’ago, come ci è riuscito per Zaccheo!

Daniel Attinger, Evangelo secondo Luca