Colti di sorpresa!

Leggi tutto: Colti di sorpresa!I primissimi testimoni della resurrezione sono terrorizzati e non sanno trovare le parole per comunicare quello che hanno visto, perché hanno visto Dio porre il suo sigillo sul Gesù crocifisso, dichiararsi nel Gesù morto, sconfitto e abbandonato. Nell’evento misterioso della tomba vuota Dio dice: “Non è stata la fine: sono vivo in Gesù”. E la prima volta che fu udito questo messaggio, la reazione non fu la sensazione di un blando sollievo religioso, ma piuttosto un senso di terrore. Non siate dunque in preda allo sgomento, dice perciò Marco ai lettori, se a una prima lettura anche voi troverete ciò terribile o spaventoso.

Ma all’interno di ciò giace uno stimolante paradosso. È evidente che le donne dissero qualcosa,altrimenti il vangelo non sarebbe stato scritto. Alla fin fine fu loro possibile trovare le parole per ciò di cui mai avevano immaginato di poter parlare. Se dunque tu sei perplesso, sconcertato e attonito dinanzi al mistero della croce e della resurrezione, non disperare. Altri hanno trovato le parole, delle vite sono state vissute nella fede: per questo ti è dato il vangelo, perché qualcuno riuscì a parlare di questi eventi. Anche tu puoi farlo.

La misteriosa conclusione di Marco fa sì che ora tocchi decisamente a noi decidere che cosa fare. La resurrezione non è solamente qualcosa che è possibile additare, quasi a dire: “Ecco Gesù che esce dalla tomba camminando e che mostra al sommo sacerdote, a Pilato e a tutti gli altri quanto si fossero sbagliati”. La resurrezione è la ri-creazione di un rapporto di fiducia e di amore, proprio laddove la realtà umana si fa estrema: nella sofferenza, nell’abbandono, nella morte. È su questo che la storia della resurrezione fa convergere il nostro sguardo. Dunque la conclusione del vangelo ci dice che la fede nel Gesù crocifisso e risorto è possibile, e che dobbiamo continuare a leggere e ad ascoltare finché non l’avremo trovata, a leggere e ad ascoltare finché non avremo colto che cosa Gesù ha smantellato e abolito … Nel testo evangelico vi è la prova che è possibile trovare le parole per parlarne, purché si sia sufficientemente pazienti e coraggiosi da porsi in loro attesa …

È come se si confidasse nel fatto che un giorno tutte queste cose acquisiranno un senso alla luce dello schema globale della profezia ebraica, sebbene non vi si sia ancora giunti. L’evento pasquale fu abbastanza nuovo, abbastanza strano e abbastanza preoccupante da far sì che non si disponesse, per parlarne, di alcuna struttura preconfezionata. Malgrado le profezie poste sulle labbra dello stesso Gesù, i suoi seguaci continuano a essere colti di sorpresa, come se il mero fatto brutale della sua morte umiliante avesse cancellato ogni ricordo di qualsivoglia speranza espressa da Gesù.

Rowan Williams, Il Dio di Gesù nel Vangelo di Marco

Ritorno alla luce

Leggi tutto: Ritorno alla luceL’ingresso nella grande settimana suggerisce l’idea di un esodo, un cammino di liberazione che permette di passare da un mondo a un altro. Non bisogna mai temere di mettersi in cammino, né di abbandonare per un breve intervallo di tempo quel clima di superficialità nel quale il più delle volte viviamo. Per ritrovare il significato profondo della grande settimana e gustarla in tutto il suo spessore i cristiani devono imparare a dedicarvi tempo. Ci vuole coraggio per sbarazzarsi di tutto il “vecchiume”, ciò che è abitudinario, le pose “inacidite”, i vecchi orizzonti, le solite occupazioni e preoccupazioni, le vecchie angosce… La vera domanda da porsi per il cristiano è: sono disposto a perdere del tempo per poterlo ritrovare come dono alla sorgente? Il cristiano grazie alla liturgia, ai suoi testi, ai suoi canti, alla ricchezza dei suoi segni, accede alla visione della grazia pasquale. La Pasqua nella liturgia diventa per lui visione, precisamente nel senso in cui ne parlano i testi sacri.

La fede del cristiano? Disarmante semplicità: è vivere la pasqua! È questo, è tutto qui… Non è che questo: in ogni istante, in ogni prova, in ogni vertigine che ti coglie. Una volta che tu sai che “pasqua” vuol dire “passaggio”, comprendi che si tratterà costantemente di operare un passaggio: dalla notte al giorno, dal male al bene, dalla sofferenza alla pace, dalla carenza all’abbondanza. O l’inverso. In ogni caso mai come un sovrapporsi statico di esperienze, ma come cammino dinamico. Il credente sa decifrare la forza costante di questa creazione interiore, spirituale, al cuore stesso di tutti gli istanti della propria vita. Pasqua è vivere costantemente questo passaggio in Dio di tutto il nostro essere …

Semplicità. Scopriamo qui la possibilità di accedere a un’altra realtà, completamente trasfigurata, del mondo. In fondo, Cristo riporta la materia alla sua origine di luce, la rivela come in un fotogramma; cosa riconducibile al mistero dello Spirito. Come comprendere altrimenti la parola che ci dice che “Dio è luce” (1Gv 1,5)? Non vi è altra prova che rischiare di persona, come ricorda un proverbio cinese che non mi stanco mai di citare: “La farfalla conosce la fiamma alla quale si consegna”. A chi chiede di conoscere la fede cristiana mi viene sempre voglia di rispondere: “Vuoi conoscere la luce della Pasqua? Celebrala! E lasciati bruciare d’amore fino al culmine, la croce”. La grande settimana celebra questo ritorno alla luce. Il mondo è nato, ci dice la fisica contemporanea, da un’eccedenza di fulgore. Tutto è partito da quella sorgente originaria che è l’atto più bello; immaginiamo quell’istante, un frammento, un’esplosione di luce candida. Nel mistero della resurrezione vi è qualcosa che assomiglia a un ritorno della materia al mistero di Dio. In Cristo l’intero cosmo è tornato alla sorgente, nel suo splendore e nella sua luce.

André Gouzes, La notte luminosa

Gesù Servo e Signore

Leggi tutto: Gesù Servo e SignoreQuando celebra nella gioia e nell’azione di grazie la cena del Signore, la chiesa apostolica non può dimenticare che quella cena la rimanda alla cena di Gesù Servo, che si reca al suo martirio. Nella presenza del Signore, operante en pneumati al cuore di essa, è l’atteggiamento del Servo ciò di cui l’assemblea eucaristica fa memoria. Infatti sa, per la sua fede, che la cena del Signore celebra nei segni essenzialmente l’atteggiamento interiore – esternato e concretizzato negli eventi della pasqua – con il quale, entrando in totale comunione con il volere del Padre, Gesù perviene alla gloria del Kyrios. Il Kyrios è inseparabile dal Servo, incomprensibile senza un riferimento a quest’ultimo: la sua signoria non è altro che la glorificazione da parte dello Spirito della sua povertà di Servo. Croce e resurrezione costituiscono un solo mistero non semplicemente per il fatto che rappresentano gli estremi di un unico e indivisibile movimento.

Per la tradizione apostolica la cena del giovedì santo ha dunque il suo fulcro nella presenza del Servo in mezzo ai discepoli. Gesù instaura in quel momento tra sé e ciascuno dei commensali, per il semplice fatto di mangiare e bere con loro, un profondo legame di fraternità. Gesù dunque inscrive la sua eucaristia in questa valenza unitiva del pasto, conferendole un livello di profondità completamente nuovo …

Inoltre, benché Gesù in questa comunità occupi il posto principale, vi appare comunque in un rapporto di comunione orizzontale con i commensali. Invitandoli alla sua tavola, li fa partecipare a ciò che anche lui riceve da Dio, li associa al suo bene personale. Questo spiega le reazioni violente dei farisei per i suoi pasti con gli empi e i peccatori. Per quel che concerne in particolare la cena del giovedì santo, è importante sottolineare che Gesù in quell’occasione fa accedere i suoi a una comunità conviviale propriamente messianica, legata alla sua missione personale e alla sua qualità di Servo. Infatti siamo già nel clima della passione. Questo è ulteriormente accentuato dal fatto che le tradizioni evangeliche ci immergono nell’atmosfera della cena pasquale, che com’è noto ha una dimensione messianica. Pasto del Servo che va al martirio, l’ultima cena è dunque il pasto di coloro che sono ammessi a formare la prima cellula del popolo messianico, il popolo nuovo della nuova creazione.

Il semplice fatto di essere con Gesù alla tavola dell’ultima cena permette già di accedere alla comunione con lui. Si comprende allora la grande affermazione, che alimenta la speranza, riferita da Luca in questo contesto: “... perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio Regno” (Lc 22,30). La comunità conviviale eucaristica – in tutta la sua realtà ma anche in tutta la sua precarietà, dovuta al fatto che l’uomo non può mai essere certo della propria fedeltà – annuncia la koinonia definitiva nel Regno a venire. Il mistero del popolo nuovo viene cosi visto alla luce di tale comunità conviviale, radicata nell’economia della creazione.

Jean-Marie R. Tillard, Eucaristia e fraternità

Il serpente e la croce: vie per tornare a Dio

Leggi tutto: Il serpente e la croce: vie per tornare a DioL’elemento di novità introdotto dal racconto dei Numeri è la guarigione, che sorprendentemente giunge portando in sé l’immagine del peccato: il serpente. Deve essere stato visto come uno scandalo il fatto che la causa della malattia potesse aver parte nella guarigione. Tuttavia la guarigione dei figli di Israele da parte del serpente di bronzo non era neppure lontanamente scandalosa quanto l’immagine della crocifissione. Il potere di guarigione posseduto dal serpente di bronzo si basava sull’atto di pentimento e umiliazione davanti a Dio. Un autentico pentimento poteva avvenire solo quando i figli di Israele ammettevano il loro peccato e ne capivano la natura. Allo stesso modo, la croce rappresenta il rimedio del peccato dell’umanità. Gesù salì sulla croce allo scopo di offrire se stesso a quanti, fissandolo come avevano fatto i figli di Israele nel deserto, ammettono i loro peccati, riconoscono la loro morte spirituale e la loro separazione da Dio, e chiedono di essere nuovamente uniti a lui. Ecco perché, soprattutto per la chiesa primitiva, l’immagine di Cristo sulla croce era un’immagine di trionfo. Cristo nella sua morte trionfò sul peccato, e la contemplazione di Cristo crocifisso trionfante è la via che conduce alla nostra salvezza. Il segno della croce ci offre questa contemplazione: un modo per interiorizzare lo scandalo della croce e un modo per cercare la riunione con Dio e con Cristo crocifisso …

Da noi stessi non abbiamo la forza di astenerci dal peccato, perché siamo nati nella malattia del peccato. Nulla ci autorizza a pensare di poter giungere a una santità basata sulle nostre proprie forze. “Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo” (Gv 3,13). Giovanni chiarisce che nessuno giunge alla salvezza da se stesso, ma solo mediante Cristo. Gesù, quale secondo Adamo, ha introdotto la medicina, laddove il primo Adamo ha introdotto la malattia.

Il segno della croce è un riflesso di questa medicina dataci da Cristo. È un segno di contemplazione sul nostro peccato, e in quanto tale combina umiltà e desiderio di trionfare sul peccato e la tentazione. Al tempo stesso esso riconosce le nostre limitazioni e richiede l’assistenza di Dio nella nostra ascesa e maturazione spirituale. Il segno della croce riflette il nostro personale impegno a guarire la malattia del peccato e le conseguenze della caduta. È uno dei primi passi del nostro ritorno a Dio: dato che riconosciamo la nostra posizione e ci mettiamo davanti alla sua misericordia e sotto la sua guida, noi come i figli di Israele nel deserto possiamo essere guariti dalla morte spirituale.

Andreas Andreopoulos, Il segno della croce

“Non fate più nulla, lasciatevi fare!”

Leggi tutto: “Non fate più nulla, lasciatevi fare!”I padri affermano che c’è una preghiera che è la preghiera di Dio in noi, sulla quale essi non possono dire nulla, perché è insegnata dallo Spirito. Vi è un tipo più ordinario di preghiera del quale si è detto quasi tutto e soprattutto come non coincida con l’atto di pregare: mi riferisco all’attitudine dell’uomo che è abitato dalla preghiera e a essa sacrifica tutto. I mistici la conoscono bene, ma quel tipo di preghiera (ancora umana) non li riguarda più … Il problema che hanno non è sforzarsi di pregare senza sosta o di amare Dio alla follia, ma far fronte alla preghiera di Dio che li invade e li sommerge. Tutto questo è assolutamente al di là dei canoni razionali. Non si tratta più di pregare incessantemente, ma di far fronte a un uragano che affascina, che assomiglia al vento impetuoso della pentecoste e non è più commisurato all’uomo che prega Dio, ma a Dio che prega l’uomo. Colui che percepisce in sé questa preghiera di Dio cerca di farvi fronte come può e comprende la vanità degli sforzi fatti in passato nel suo desiderio di giungere alla preghiera continua. Si lascia portare dall’onda e… succeda quel che deve succedere! Avrà bisogno di tutta la flessibilità dello Spirito che “piega ciò che è rigido” per sopportare uno sconvolgimento del genere e lasciarsi portare da una preghiera che egli non comprende e della quale quasi si rallegra di non comprendere nulla.

In effetti, questo aldilà della preghiera supera i limiti del comprensibile e l’uomo sembra allora perdersi in una nube più tenebrosa di quella che guidava gli ebrei nel deserto … In certi giorni il pesante silenzio di Dio è insopportabile e il cuore è come avvolto in una cappa di disperazione. Dio viene sentito come terribilmente assente, a livello della coscienza, ma vi è come un filo conduttore molto misterioso che fa supporre la sua presenza al di qua o al di là della sofferenza. Sì, vi è un aldilà della preghiera… “anche se fonda è la notte”

Fintanto che si parla di cose umane si può ancora credere che ciò che si dice abbia importanza; ma riguardo a Dio e alla preghiera dello Spirito in noi la cosa interessante è ciò che non si dice, ciò che non si vede, ciò che non si sa. Questa zona dell’impensabile non è più oggetto di riflessione ma di contemplazione, una sorta di punto interrogativo, di lungo grido silenzioso: “Mio Dio, chi sei. Per dire qualcosa che valga la pena di ascoltare bisognerebbe parlare della preghiera come facevano i padri della chiesa, o Giovanni della Croce, o Teresa d’Avila. Ma pur dicendo cose bellissime, essi si affrettavano a dimenticarle, perché il loro sguardo era orientato altrove. Ed è appunto per questo che dicevano cose così belle. Ogni parola sulla preghiera ci conduce fin sulla soglia del mistero, là dove non vi sono più sentieri tracciati e dove solo lo Spirito ci fa scrutare il mistero delle profondità divine.

Jean Lafrance, La preghiera del cuore

Uomo prepara incessantemente il tuo cuore

Leggi tutto: Uomo prepara incessantemente il tuo cuoreQuando pensiamo alle cose di Dio o che a Dio conducono e la volontà progredisce fino a diventare amore, subito, nella via dell’amore, lo Spirito santo, che è Spirito di vita, vi si infonde e vivifica tutto, venendo in aiuto alla debolezza di colui che pensa, sia nella preghiera, sia nella meditazione, sia nello studio … E allora si formulano pensieri su Dio in modo corretto, anche alla maniera umana. Tuttavia, questo modo di formulare pensieri su Dio non dipende dall’arbitrio di colui che pensa, ma dalla grazia di colui che dona, cioè quando lo Spirito santo, che soffia dove vuole, quando vuole, come vuole e su chi vuole, soffia in tale direzione. Ma sta all’uomo preparare incessantemente il proprio cuore, sciogliendo la volontà dai vincoli degli affetti estranei, la ragione o l’intelletto dalle preoccupazioni, la memoria dalle opere oziose o da quelle frenetiche, e talvolta anche da quelle necessarie. Così che, quando nel giorno favorevole del Signore e nell’ora del suo beneplacito egli avrà udito la voce dello Spirito che soffia, quegli elementi che formano i pensieri accorrano immediatamente tutti assieme e nella libertà, e cooperino al bene, e divengano come un’unica cosa per la gioia di colui che pensa, mentre la volontà presenta un puro sentimento d’amore per la gioia del Signore, la memoria una materia fedele, l’intelletto un’esperienza soave … Per questo l’uomo che vuole amare Dio, o che già lo ama, deve consultare sempre il proprio animo ed esaminare la propria coscienza per vedere che cos’è che egli desidera

L’amore, infatti, è una grande volontà orientata verso Dio. Quanto poi all’unità dello spirito con Dio, per l’uomo che ha levato in alto il proprio cuore essa è la perfezione della volontà di colui che avanza verso Dio, quando ormai non solo vuole ciò che Dio vuole, ma, poiché non solo ne è afferrato, ma in questo esserne afferrato e reso perfetto, egli non può volere nient’altro se non ciò che Dio vuole. Volere ciò che Dio vuole: questo è ormai essere simili a Dio. Non poter volere se non ciò che Dio vuole: questo è ormai essere ciò che Dio è, lui, per il quale il volere e l’essere sono una stessa cosa. Per cui si dice bene che solo allora lo vedremo così com’è, quando cioè saremo simili a lui, quando saremo ciò che egli è. A coloro, infatti, a cui è stato dato il potere di diventare figli di Dio, è stato dato il potere non certo di essere Dio, ma di essere tuttavia ciò che Dio è, di essere santi, di essere in futuro pienamente beati, poiché Dio.

È questa e la loro perfezione: la somiglianza con Dio. “Non voler essere perfetto, poi, e peccare”. Per questo, in vista di tale perfezione, la volontà va sempre alimentata e l’amore predisposto con cura; la volontà va costretta a non disperdersi su altro, l’amore va custodito perché non si inquini. Solo a tal fine, infatti, siamo stati creati e viviamo: per essere simili a Dio, poiché a immagine di Dio siamo stati creati.

Guglielmo di Saint-Thierry, Lettera d'oro

Le tentazioni: venti che ci riportano a Dio

Leggi tutto: Le tentazioni: venti che ci riportano a DioDove c’è la provvidenza di Dio, tutto quello che avviene è senz’altro buono e utile all’anima, perché tutto ciò che Dio fa con noi, lo fa per il nostro bene, perché ci ama e ha cura di noi. E dobbiamo, come ha detto l’Apostolo, in ogni cosa rendere grazie alla sua bontà (cf. 1Ts 5,18) e non scoraggiarci o abbatterci dinanzi a ciò che accade, ma accogliere gli eventi senza lasciarci turbare, con umiltà e speranza in Dio.

Se uno ha un amico ed è certo di essere da lui amato, qualsiasi cosa l’amico gli faccia patire, per quanto penosa, pensa che l’abbia fatta per amore e non crede mai che l’amico voglia fargli del male; quanto più riguardo a Dio, che ci ha creato, ci ha portato dal non essere all’essere, che per noi si è fatto uomo ed è morto per noi, dobbiamo pensare che tutto quello che fa con noi lo fa per bontà e amore! … E così, dunque, di Dio sappiamo che ci ama e ha cura della sua creatura, e che lui è la fonte della sapienza e sa come provvedere alle nostre cose, che nulla gli è impossibile ma tutto è sottomesso alla sua volontà. Dobbiamo anche sapere che tutto quello che fa, lo fa per il nostro bene, e anche se è motivo di sofferenza, dobbiamo accoglierlo con rendimento di grazie, come abbiamo detto prima, come proveniente da un Signore benevolo e buono, perché tutto avviene per un giusto giudizio, e Dio, che è così misericordioso, non guarda con indifferenza la tribolazione che ci coglie.

Ma siamo noi a non avere pazienza, a non voler fare un po’ di fatica, a non accettare di accogliere qualunque cosa con umiltà; e, quanto più cerchiamo di sfuggire alle tentazioni, tanto più ne sentiamo il peso, ci scoraggiamo e non riusciamo a liberarcene … Le tentazioni sono di grande utilità per chi le sopporta senza turbarsi.

Le tribolazioni infatti muovono la misericordia di Dio per l’anima così come i venti muovono la pioggia. E come la pioggia abbondante fa marcire il seme se il suo germoglio è ancora fragile, e gli fa perdere il suo frutto, e i venti, invece, poco per volta lo fanno asciugare e lo irrobustiscono, così avviene anche per l’anima. La rilassatezza, l’assenza di preoccupazioni, il riposo la rendono fiacca e dissipata, le tentazioni invece la rafforzano e la uniscono a Dio, come dice il profeta: Signore, nella tribolazione ci siamo ricordati di te (Is 26,16). E così, come abbiamo detto, non dobbiamo turbarci né scoraggiarci nelle tentazioni, ma pazientare, rendere grazie e supplicare Dio sempre con umiltà perché abbia misericordia della nostra debolezza e ci protegga da ogni tentazione a sua gloria.

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