Apertura all’altro, anche nella morte
There was a problem loading image 'images/qiqajon/qiqajon_consigli_lettura/14_11_01_vita_abbondanza.jpg'
There was a problem loading image 'images/qiqajon/qiqajon_consigli_lettura/14_11_01_vita_abbondanza.jpg'
Ciascuno nell’inscrivere il limite della morte dentro di sé – evitando quindi di credere che ci sia una seconda o anche una terza vita per fare ciò che non è stato fatto e vissuto in questa prima e unica vita –, è chiamato a vivere il presente il più intensamente possibile. Prendere sul serio la morte non porta allo scoraggiamento o alla rinuncia, dato che si pensa che tutto è vanità (come scrive il Qohelet), così come non conduce a uno stato febbrile. Anzi, quest’ultimo nasce proprio dal rifiuto di considerare la morte come esito di una vita piena e dal mutismo su questa realtà ineluttabile. L’intensità di vita che si libera quando si prende in considerazione la morte va letta non in termini di quantità delle cose che si fanno, ma di audacia nell’assunzione del rischio. Questo riguarda sia le relazioni e gli amori, sia le realizzazioni creative e l’impegno alla solidarietà, sia gli sforzi per far avanzare l’umanità verso la pace e la giustizia per tutti. Di queste dinamiche beneficiano il vicino e il lontano, lo sconosciuto e noi stessi in prima persona. In questa prospettiva il pensiero della morte è un’apertura all’altro, una trasmissione della passione per la vita.
Questa concezione della morte che conferisce valore alla vita può fondarsi, per i religiosi, sulla morte vissuta da Cristo, della quale gli evangelisti hanno svelato la fecondità. La croce è presente e si rende necessaria per concepire morte e vita. La croce è il luogo in cui è parso che la morte avesse la meglio su Dio. Essa ricorda incessantemente al credente la finitudine radicale, e allo stesso tempo afferma che la morte non avrà l’ultima parola, perché la resurrezione è vicina alla croce. Quest’ultima esprime allo stesso tempo l’ineluttabile finitezza e il superamento di tale frontiera. In questo paradosso la croce non è soltanto uno strumento di tortura, e ancor meno un appello a rassegnarsi alla sofferenza o a lasciarsi torturare: è la porta dolorosa per accedere al sepolcro vuoto di pasqua.