Gesù Servo e Signore
Quando celebra nella gioia e nell’azione di grazie la cena del Signore, la chiesa apostolica non può dimenticare che quella cena la rimanda alla cena di Gesù Servo, che si reca al suo martirio. Nella presenza del Signore, operante en pneumati al cuore di essa, è l’atteggiamento del Servo ciò di cui l’assemblea eucaristica fa memoria. Infatti sa, per la sua fede, che la cena del Signore celebra nei segni essenzialmente l’atteggiamento interiore – esternato e concretizzato negli eventi della pasqua – con il quale, entrando in totale comunione con il volere del Padre, Gesù perviene alla gloria del Kyrios. Il Kyrios è inseparabile dal Servo, incomprensibile senza un riferimento a quest’ultimo: la sua signoria non è altro che la glorificazione da parte dello Spirito della sua povertà di Servo. Croce e resurrezione costituiscono un solo mistero non semplicemente per il fatto che rappresentano gli estremi di un unico e indivisibile movimento.
Per la tradizione apostolica la cena del giovedì santo ha dunque il suo fulcro nella presenza del Servo in mezzo ai discepoli. Gesù instaura in quel momento tra sé e ciascuno dei commensali, per il semplice fatto di mangiare e bere con loro, un profondo legame di fraternità. Gesù dunque inscrive la sua eucaristia in questa valenza unitiva del pasto, conferendole un livello di profondità completamente nuovo …
Inoltre, benché Gesù in questa comunità occupi il posto principale, vi appare comunque in un rapporto di comunione orizzontale con i commensali. Invitandoli alla sua tavola, li fa partecipare a ciò che anche lui riceve da Dio, li associa al suo bene personale. Questo spiega le reazioni violente dei farisei per i suoi pasti con gli empi e i peccatori. Per quel che concerne in particolare la cena del giovedì santo, è importante sottolineare che Gesù in quell’occasione fa accedere i suoi a una comunità conviviale propriamente messianica, legata alla sua missione personale e alla sua qualità di Servo. Infatti siamo già nel clima della passione. Questo è ulteriormente accentuato dal fatto che le tradizioni evangeliche ci immergono nell’atmosfera della cena pasquale, che com’è noto ha una dimensione messianica. Pasto del Servo che va al martirio, l’ultima cena è dunque il pasto di coloro che sono ammessi a formare la prima cellula del popolo messianico, il popolo nuovo della nuova creazione.
Il semplice fatto di essere con Gesù alla tavola dell’ultima cena permette già di accedere alla comunione con lui. Si comprende allora la grande affermazione, che alimenta la speranza, riferita da Luca in questo contesto: “... perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio Regno” (Lc 22,30). La comunità conviviale eucaristica – in tutta la sua realtà ma anche in tutta la sua precarietà, dovuta al fatto che l’uomo non può mai essere certo della propria fedeltà – annuncia la koinonia definitiva nel Regno a venire. Il mistero del popolo nuovo viene cosi visto alla luce di tale comunità conviviale, radicata nell’economia della creazione.