Salvezza. Amicizia di Gesù per noi
Torniamo alla nostra domanda: che cos’e la salvezza? È il Cristo, il Signore dell’universo; è quindi in lui che tutto l’universo, dal più grande fra i nati da donna all’ultimo filo d’erba o granello di sabbia, trova vita e ragion d’essere. Ma solo la comunità dei credenti in lui, la chiesa, lo sa; solo essa ne può essere testimone, ma lo sarà nella misura in cui lo segue sulla sua via, la quale finisce sulla croce. Ecco ciò che Zaccheo ha vissuto nell’incontro con Gesù: si è reso povero, perché aveva trovato la sua ragion d’essere non più nelle ricchezze che cercava di moltiplicare all’infinito, ma nello sguardo posto su di lui da Gesù. In questo modo Zaccheo ha potuto anticipare il momento della salvezza che Dio riserva per tutta la sua creazione. La salvezza è l’amore con il quale Dio ci ama in Gesù Cristo, che fa di noi dei figli di Abramo, e più ancora dei figli di Dio. La nostra missione, in quanto chiesa, consiste nel proclamare Gesù proprio attraverso una vita di spoliazione, di umiltà e di povertà che indichi, per via negativa, dove sta la nostra ragione di vivere (e anche di morire) e il fondamento della nostra gioia, perché anche gli altri possano anticipare questa salvezza e viverne già ora.
La salvezza però incontra ostacoli. Nel caso di Zaccheo: la sua piccola statura e la folla. Ambedue impediscono a Zaccheo di vedere Gesù. Il primo attiene alla sua natura: se fosse più grande, se dominasse in altezza tutti gli altri, lo potrebbe vedere. Il secondo dipende dagli altri, che formano come un muro tra Zaccheo e Gesù. Anche nel nostro caso incontriamo due tipi di ostacoli. Il primo dipende da noi: è il nostro peccato; il secondo dipende dalla società e da altri fattori indipendenti da noi: i nostri impegni, il nostro lavoro, ciò che gli altri si aspettano da noi, magari anche la stessa comunità alla quale apparteniamo. Se Zaccheo ha saputo superare questi due ostacoli, anche noi li possiamo superare, ma allo stesso prezzo di quello pagato dal pubblicano di Gerico: rinunciare all’immagine che ci facciamo di noi stessi. Salendo sul sicomoro, Zaccheo si è fatto come bambino, lasciando perdere la sua dignità e il suo rango. Così per vincere il nostro peccato dobbiamo umiliarci e riconoscere il peccato commesso. Allo stesso modo, per vincere l’ostacolo costituito dagli altri, è necessario rinunciare allo spirito di competitività, al paragonarci con gli altri, al voler essere migliori degli altri, al giudicarli …
Ma l’importante non è nemmeno questo: il Cristo riesce a superare tutti questi ostacoli, persino le nostre durezze, perché, come già detto, anche se Zaccheo non avesse fatto nulla, Gesù lo avrebbe trovato, perché doveva entrare e dimorare in casa di lui, perché “il figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (v. 10). E allora la salvezza, alla fine, non è altro che l’amicizia di Cristo nei nostri confronti. Dio non cesserà di cercarci finché il Cristo non sarà pervenuto, fosse al prezzo della croce, a entrare in noi per immettere nei nostri corpi e nei nostri cuori le energie della sua vita divina. E la prova della riuscita di Cristo sarà la nostra capacità – capacità data anch’essa da Cristo – di vincere in noi il peccato, di accogliere gli altri come fratelli e sorelle, di vivere insieme a loro nella gioia dell’amore fraterno. In questo modo, in Cristo, Dio sarà riuscito a far entrare il cammello – e persino l’elefante – per la cruna dell’ago, come ci è riuscito per Zaccheo!