Trasmettere l’infinito
Il sacramento del matrimonio è praticato oggi dalla chiesa cattolica, in una liturgia profondamente rinnovata dopo il concilio Vaticano II. Questo nuovo rito cambia in primo luogo il detentore del potere sacramentale e in seguito cancella ogni traccia di diseguaglianza. Non è il prete a unire gli sposi come si potrebbe pensare (“Coniungo vos”), ma sono gli sposi stessi che, con l’espressione della loro volontà, prendono sacramentalmente possesso l’uno dell’altro e si donano sacramentalmente l’uno all’altro nello scambio del loro consenso. Al momento decisivo essi pronunciano la stessa frase che li lega: “Io accolgo te, come mia sposa (o: mio sposo) ... Prometto di esserti fedele sempre ... e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”. Ciascuno passa in seguito nel dito dell’altro lo stesso anello dicendo: “Ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà”.
Prima del Vaticano II, solo lo sposo faceva scorrere l’anello al dito della sposa e faceva scorrere lui stesso il suo al proprio dito. La sposa restava passiva. Pochissimi cristiani erano urtati da questa esclusività dello sposo nella distribuzione degli anelli, come se la sposa non potesse fare da sé il suo gesto di offerta.
Ai giorni nostri il prete tace. Assiste come testimone in nome di Dio e come delegato della chiesa incaricata di registrare l’evento. Per concludere, benedice gli sposi e li invia a compiere nel mondo la loro vocazione coniugale: “Nella chiesa e nel mondo siate testimoni del dono della vita e dell’amore che avete celebrato”. La coppia instaurata da questi sposi non ha formulato una vana promessa. Sono in grado di mantenerla. Ne hanno i mezzi procurati loro dal sacramento.
Questi mezzi non provengono dalla loro persona, ma da Dio. Gli sposi sono privi di ogni assicurazione preventiva, di ogni fedeltà indefettibile. Ma se il loro nulla acconsente ad aprirsi alla grazia del Signore, l’amore li riempie. Lo Spirito risponde al loro appello.
Egli mantiene la promessa cui gli sposi non si sono impegnati avventatamente se l’hanno fondata su di lui. Non è per orgoglio che essi si sono creduti allora indefettibili e capaci di trasmettere l’infinito mediante creature finite. È anzi l’umiltà che li ha spinti a chiedere a Dio di rimediare alla loro carenza.
Era meraviglioso il loro disegno, quello per cui un uomo e una donna possono costituire una coppia indistruttibile in mezzo alle prove che essi necessariamente incontreranno. La loro ambizione di un assoluto coniugale capace di resistere a tutte le usure, le angosce, le dimissioni, e di rinascere ogni volta dall’abisso era perfettamente giustificata, se si ammette che l’amore è certo vulnerabile, ma ha sempre l’ultima parola.
Disegno meraviglioso ma folle, che solo la follia di Dio permette di realizzare. Occorre un intermediario divino, una presa in carica da parte di Cristo perché il miracolo si compia e l’assoluto assicuri in creature limitate e fallibili il trionfo dell’assoluto. Si verifica così che l’essenziale delle nozze è nel consenso per cui due volontà libere decidono di fare alleanza per portare l’una all’altra la salvezza.